Il Palazzolo sui preti. Discorso immaginario, ma non troppo

Palazzolo

DAL “SINODO DEI SANTI DELLA CHIESA DI BERGAMO”, operetta in versi di don Giacomo Panfilo, distribuita con il consenso del Vescovo Mons. Amadei al termine del 37° Sinodo Diocesano.

II Beato don Luigi Palazzolo (Bergamo 1827-1886), fondatore delle Suore dette delle Poverelle, mise le sue sostanze e se stesso a servizio dei poveri. La sua opera di carità andò ben oltre la diocesi di Bergamo. Ora il suo Istituto ha case in tutto il mondo. Era noto per la sua spiritualità essenziale e concreta e per il linguaggio e il tratto, a dir poco, coloriti. Nel suo discorso si fa cenno alla sua sopraffina arte di animatore di burattini. Fu beatificato da Papa Giovanni. La sua festa è il 22 di maggio.

“SCONTENTANO QUESTO, DISPIACCIONO A QUELLO!

Il don Palazzolo si leva il tricorno,/e timidamente si guarda d’attorno.
Dal moderatore, avuta licenza,/si mette a parlare con gran riverenza.

«Lodato sia Cristo». «E sempre lo sìa»,/rispondono i santi con l’aria più pia.
«Io debbo, sapete, l’aureola alle suore,/ma qui del buon clero son l’ambasciatore.
Dei preti ora dunque vorrei qui parlare/ai laici ed ai capi per farli pensare.
I preti in effetti son lì tra due fuochi/(i vescovi e i laici) e salvansi in pochi.
I laici si attendon da loro un servizio/esatto, completo e senza alcun vizio.
Ma ognuno il servizio lo vuole a suo modo, / così che ‘sti preti, pur dandoci sodo,
scontentano questo, dispiacciono a quello / e tutti “han diritto” d’usare il flagello.

“AD OGNI CAMBIO DI CAPO NOVELLO…” 

I vescovi e i capi, sull’altro versante, / non lasciano i preti tranquilli un istante.
Ognun che qui viene si sente in dovere / d’arare a suo modo nel santo podere;
poi svelle, poi pianta, distrugge e rifà, / poi vuole l’assenso di fede e umiltà.
Ma se tutti i capi richiedon l’assenso / ai loro pallini, per me non ha senso,
perché, ad ogni cambio di capo novello, / i preti dovrebber cambiare cervello.
Ma se non assenti devoto ed umìle, / puoi considerarti già fuor dell’ovile.
Così alla fin fine coi fatti e coi detti / da sopra e da sotto i preti son stretti.
In tali frangenti i preti nostrani / si mostran diversi ma non proprio strani.

IL PRETE POLLASTRO E IL PRETE SANTARELLO

C’è il prete pollastro che schiva la volpe, / ma non la faina cui lascia sue polpe.
C’è chi sa nuotare e allora la scampa / da Sicilia e Cariddi e in salvo s’accampa.
C’è poi il santerello che tutto sopporta, / ma tutti lo prendon per pecora morta.
Ma molti, purtroppo, son subito stanchi / di prendere botte da tutti e due i fianchi.
E dicono: «Ai laici il sacro concilio / permette il piacere del caldo giaciglio.
Ai vescovi invece accresce il potere / che dà l’euforia di tutto ottenere.
Ai preti che resta? Soltanto il dovere: / di pascere quelli e a questi piacere!
E mandan la gente e i capi a… passeggio / ed essi si fanno gli affar loro e peggio. 

QUAL È IL RIMEDIO A TANTO MALANNO?

Qual è qui il rimedio a tanto malanno / che in seno alla chiesa infuria e fa danno?
Per me ci vorrebbe un’altra maniera / di viver la chiesa, più santa, più vera.
Occorre che i laici non siano clienti / del sacro negozio passivi, esigenti.
Occor che coloro che ai vertici stanno / non faccian da duci che fanno e disfanno.
La chiesa è un “commercio” di ruoli diversi, / ma complementari, se no siamo persi.
Più unione ci vuole, più condivisione; / e nell’operare partecipazione.

“DEI BEI BURATTINI FREGATI ED OFFESI”

Vorrei or toccare un altro argomento / riguardo ai leviti di questo momento.
Avete mai visto ballare i gioppini / che fan divertire da matti i bambini?
(Sapete che io, tra tanti mestieri, / ho fatto anche questo e ben volentieri).
Si prendon da dietro, o meglio da sotto / e poi si manovran nel piccol casotto.
Non muovi che un dito ed essi fan tutto: / il principe, il servo ed il farabutto.
Altrove li muovon da su con gli spaghi: / se molli s’affloscian, se tieni son “draghi”.
Non pare anche a voi che i preti sian resi / dei bei burattini fregati ed offesi?
Le nomine ad nutum, il giure divino, / la chiave dei viveri, il premio al ruff…ino
son fili coi quali ti crean degli eroi / oppure ti concian così come i buoi.
Occorre, mie cari, far come ho fatt’io, / che sempre mangiai soltanto del mio.
L’onore, il rispetto e la dignità / chi è che li crea? È la libertà.
Per l’uomo di Dio qual è il sacerdote / pregare è un dovere, più ancora è una dote;
così il fare bene i riti all’altare / (e ciò in seminario si suole insegnare).
Ma quel che più conta, che più onora Dio / non è che il liturgo sia esatto, sia pio;
ma è che sia uomo, un uom di quei veri, / contento di viver tra santi sinceri.
Un prete che sia un uomo riuscito / è predica viva, è culto gradito.
(Con preti così, tra l’altro, via Arena / di seminaristi sarebbe più piena). 

“IL CLERO ORDINATO E A PUNTINO BEN CATALOGATO”

Ancora una cosa vorrei far notare, / perché ci si sforzi di farla emendare.
A Bergamo, fuori dai ruoli ufficiali, / i preti non sono chiamati normali.
A parte i gran capi che stan nel palazzo / ed han del potere il segno paonazzo;
a parte anche quelli che son cervelloni / cui sono affidate speciali mansioni;
gli unici ruoli legali, a rigore, / son quei del prevosto e del coadiutore.
Or io, per esempio, non fui incaricato / di nulla, né fui nemmeno curato.
Fui libero affatto d’attendere a quello / che il cuor mi mostrava più urgente fardello.
Neppure un decreto rendeva ufficiale / il mio preoccuparmi di chi a nessun cale.
È vero, a mie spese, mi mossi fra scaltri; / però mai fui visto men prete degli altri.
Invece ora vedo il clero ordinato / e tutto a puntino ben catalogato.
Chi con intenzione o per puro caso / è fuor degli schemi, è come un evaso.
I preti operai e quei dei drogati, / così come quelli degli handicappati,
nonché i preti attivi tra quei del dissenso / son emarginati e ciò non ha senso.
Dell’opera mia, di me, che sarebbe, / se qualche gran capo con far da giulebbe
m’avesse, ahimè lasso, bloccato e isolato / perché negli schemi non ero inquadrato?

LA COSA PIÙ STOLTA: “CHIUDERE IN GABBIA LO SPIRITO SANTO”

D’accordo! Nessuno da quello che ho detto / può prender motivo per fare il furbetto
e darsi al far niente o a ciò che più piace, / lasciando le grane al meno sagace.
Ma pur s’ha da dire bel chiaro e bel tondo / che cosa più stolta non c’è in tutto il mondo
che il chiudere in gabbia lo Spirito Santo: / se tenti di farlo, lui rompe l’impianto.
È come un diluvio, un’inondazione: / se il blocchi di qui Lui là fa irruzione.
Perciò non si escluda chi tenta una via, / si segua, s’appoggi con gran simpatia.
Così non parrà un fungo isolato, / ma il segno normale che il clero è dotato
di doni, d’amore e senso creativo / nel porgere all’uomo servizio fattivo.

Or chiudo il discorso già troppo prolisso / scusandomi molto se è stato un subisso».