La Croce, segno di un amore senza limiti. E le nostre “distrazioni”

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna… (Vedi Vangelo di Giovanni 3, 13-17. Per leggere i testi di domenica 14 settembre, festa dell’Esaltazione della Santa Croce, clicca qui)

Immagine: Michelangelo, il Serpente di bronzo, Cappella Sistina (1511-1512)

La croce è il grande gesto d’amore di Dio. Chi lo accoglie, ha la vita eterna. Sono alcune delle affermazioni che Gesù fa durante il suo dialogo con Nicodemo. Siamo nel capitolo terzo di Giovanni. Nicodemo è un credente pieno di dubbi. È andato a trovare Gesù di notte. Forse ha paura di esporsi troppo.

IL MESSIA “DISCESO DAL CIELO”

Il brano del capitolo terzo viene proposto oggi, festa della esaltazione della croce. La festa è celebrata in Oriente con una solennità paragonabile a quella della pasqua. Nel 335 l’imperatore Costantino aveva fatto costruire, a Gerusalemme, due basiliche, una sul sepolcro di Gesù e una sul Golgota. La consacrazione di queste basiliche avvenne il 13 settembre 335. La festa venne spostata al 14 settembre e si diffuse in tutto il mondo cristiano, per ricordare la croce di Gesù, appunto, la sua morte per noi.

Di fronte alla fede fragile di Nicodemo Gesù si presenta come il grande rivelatore del Padre, capace di rivelare anche il senso della propria morte. Questa rientra in un vasto disegno di Dio. È precisamente questo disegno che adesso Gesù vuole in qualche modo delineare al suo inquieto interlocutore.
Le religioni si sono sforzate di “salire al cielo”, ma non ci sono riuscite: erano opera degli uomini. Non bisogna dunque aspettare un altro genere di Messia se non l’Uomo in cui si è manifestato tutto l’amore di Dio e che proprio per questo è disceso dal cielo. Il disegno di Dio inizia a rivelarsi in un episodio, misterioso, dell’Antico Testamento. Durante l’attraversamento del deserto, gli ebrei, a punizione delle loro continue mormorazioni, sono morsi da serpenti velenosi. Allora Mosè si rivolge a Dio e questi ordina, mosso ancora una volta dalla sua misericordia, di collocare in alto, su un palo, un serpente di bronzo. Chi sarà morso guarderà al serpente di bronzo e sarà salvo. Dunque il serpente libera dai serpenti (Gesù uomo libera gli uomini), è innalzato (Gesù deve essere “innalzato”, crocifisso), bisogna guardare al serpente («Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto»).

IL GESTO AMOROSO PIÙ SEMPLICE: LO SGUARDO

È proprio dello sguardo che parla il vangelo di oggi. Bisogna guardare al serpente di bronzo, bisogna guardare alla Croce per essere salvati. Lo sguardo è un gesto amoroso: ti amo, quindi ti guardo, so che dipendo da te, quindi ti guardo. Lo sguardo è il gesto più semplice, quotidiano, facile dell’amore. E lo sguardo diventa tenerezza, implorazione di aiuto, fiducia… Se accolgo la bella notizia che la Croce è il segno di un amore che non merito ma che mi si dona, io mi trovo nello stato quotidiano e continuo di innamorato del Crocifisso che lo guarda perché preso da quel segno. Dunque: le due cose sono ambedue necessarie. Lui “deve” morire: è il suo progetto amoroso verso di noi. Io “devo” guardagli. Solo che lui è già morto, il suo dono è già avvenuto. Io, invece, posso non accorgermene, posso girare lo sguardo altrove. L’amore non è amato, lamentava san Francesco.  Il nostro rischio è proprio questo:  “distrarci”, non guardare, guardare male, nella direzione sbagliata, non incrociare lo sguardo del Crocifisso.