Papa Francesco a Tirana, dove i cristiani hanno sofferto la persecuzione dell’ideologia

«Francesco non va nei grandi centri ma nelle Galilee del mondo globale, mentre nella mentalità di molti sarebbe logico che un grande leader come il Papa andasse nei centri decisionali del potere oppure nei luoghi delle grandi masse nazionali. Significativamente, il primo viaggio apostolico in Europa non è diretto ai grandi paesi cattolici, ma a una terra molto periferica, di scarso peso economico e politico». Giacomo Galeazzi, vaticanista de La Stampa, firma di Vatican Insider, spiega i motivi della prossima visita pastorale di Bergoglio in Albania. «Ancora una scelta della periferia. Come per Lampedusa e per i viaggi in Calabria e Molise. Francesco non è mai tenero verso il potere della finanza e l’attrazione del denaro. Però il caso albanese rappresenta per lui soprattutto un paese in cui tutti i credenti hanno sofferto da un’ideologia che voleva chiudere il cielo agli uomini e fondarne la vita sul materialismo. In questa terra si è manifestato quell’ecumenismo dei martiri o del sangue di cui Francesco ha parlato già diverse volte sulla scia di Giovanni Paolo II», precisa Galeazzi, marchigiano, 40 anni, curatore del blog Oltre Tevere. «Ci sono in Albania ancora alcuni cristiani scampati alle persecuzioni e sarebbe bello se il Papa potesse incontrarli».

Il 21 settembre prossimo Papa Francesco si recherà a Tirana in Albania, il Paese più musulmano del vecchio continente. Qual è la percentuale di cattolici tra la popolazione del primo Stato ateo del mondo, come lo aveva proclamato il dittatore Enver Hoxha nel 1967?
«I cattolici sono poco più del 10%, i cristiani ortodossi il 20%. L’Albania è lo Stato più musulmano d’Europa a eccezione del Kosovo, che però la Santa Sede non riconosce come Stato indipendente. Annunciando la missione a Tirana, il Pontefice ha descritto “un paese in cui tutti i credenti hanno sofferto da un’ideologia che voleva chiudere il cielo agli uomini e fondarne la vita sul materialismo”. L’Albania è sociologicamente a maggioranza musulmana. Ma in particolare l’Albania è terra di nuovi martiri. Tantissimi cristiani, cattolici e ortodossi insieme, hanno sofferto per la loro fede. In questa terra si è manifestato quell’ecumenismo dei martiri o del sangue di cui Francesco ha parlato diverse volte sulla scia di Giovanni Paolo II. Per quel che riguarda la crisi finanziaria, gli albanesi non si sentono vittime del capitalismo ma semmai del comunismo, causa la loro storia recente».

Il Paese delle Aquile nel giugno scorso si è guadagnato lo status di candidato all’Unione Europea. Che Nazione troverà il Pontefice?
«“Terre di confine e di emigrazione: Francesco ha iniziato i suoi viaggi in Italia da Lampedusa, quelli in Europa da Tirana”, sintetizza il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi. Il 21 settembre il Pontefice visiterà lo Stato più musulmano d’Europa, caro alla Chiesa cattolica perché qui i credenti sono stati perseguitati come in nessun’altra nazione, specialmente dopo che il dittatore Enver Hoxha nel 1967 proclamò l’Albania primo Stato ateo del mondo. In Albania c’è scarsa criticità verso il sistema liberista occidentale, il capitale finanziario, l’economia liberale senza regole, certe politiche economiche nordamericane, e questo avviene per reazione a 45 anni di comunismo nazionalista e autarchico puro e duro che ha costretto la popolazione a una uguaglianza che era solo una uguaglianza nella povertà, nella mancanza di libertà, nella soggezione al regime di tutti gli individui».

Una terra che si trova nella periferia d’Europa, che non ha una grande rilevanza dal punto di vista economico e tanto meno politico. Una scelta voluta quella del Santo Padre?
«Francesco non va nei grandi centri ma nelle Galilee del mondo globale, mentre nella mentalità di molti sarebbe logico che un grande leader come il Papa andasse nei centri decisionali del potere oppure nei luoghi delle grandi masse nazionali. Significativamente, il primo viaggio apostolico in Europa non è diretto ai grandi paesi cattolici, ma a una terra molto periferica, di scarso peso economico e politico».

A ventun anni dalla visita di Papa Giovanni Paolo II quanto e come è cambiata la Chiesa e la società albanese? «L’Albania è un occidente “sui generis” e lui ne terrà conto. Gli albanesi in Italia si avvicinano al mezzo milione. In pochi anni si sono rapidamente integrati, dopo i primi difficili approcci. La Chiesa albanese è per Francesco un modello di Chiesa missionaria nel terzo millennio globalizzato. Gli aspetti principali del viaggio a Tirana sono due: quello religioso rappresenta una sorta di riconoscimento a un Paese in cui cattolici, ortodossi e islamici convivono molto bene, anche con un notevole numero di matrimoni misti. Quello politico per cui la visita rafforza la legittimazione del Paese come uno Stato normale che, proprio per questo, può finalmente conseguire lo status di Paese candidato all’ingresso nell’Ue, che da anni insegue. Con la sua visita in Albania più che astratte terze vie tra comunismo e capitalismo, Francesco indica la strada di un rinnovato modello di economia sociale di mercato, in cui la politica sotto forma di Stato non pretenda l’onnipotenza, ma al tempo stesso non si rassegni a ratificare le diseguaglianze e ovviamente questo sarà più facile avvicinandosi all’Ue e poi integrandosi in essa. Del resto le periferie italiane negli ultimi anni si sono popolate di molti albanesi, compresi molti studenti delle università italiane».

I vescovi albanesi hanno deciso di accogliere il Papa con lo slogan: “Insieme con Dio, verso la speranza che non delude” mentre l’arcivescovo di Tirana, Rrok Mirdita in una recente intervista ha detto che “il successore di Pietro guarda a noi e viene a trovarci, per confermarci nella fede e per rendere omaggio al martirio e alla sofferenza dei cattolici, ma non solo”. Desidera commentare queste parole, considerato che l’arcivescovo Mirdita si riferiva a quei momenti in cui “il Successore di Pietro e la Chiesa universale erano considerati nemici in patria”?
«Il commento migliore è sicuramente la spiegazione che Francesco stesso, sul volo di ritorno da Seul, ha dato ai giornalisti del suo viaggio in Albania. “Quest’anno è prevista l’Albania, è vero. Alcuni dicono che il Papa ha uno stile di incominciare tutte le cose dalla periferia. Ma no, vado in Albania, perché? Per due motivi importanti. Primo, perché sono riusciti a fare un governo – pensiamo ai Balcani! –, un governo di unità nazionale tra islamici, ortodossi e cattolici, con un consiglio interreligioso che aiuta tanto ed è equilibrato. E questo va bene, è armonizzato. La presenza del Papa è per dire a tutti i popoli: Si può lavorare insieme! Io l’ho sentito come se fosse un vero aiuto a quel nobile popolo. E l’altra cosa: se pensiamo alla storia dell’Albania, è stata religiosamente l’unico dei Paesi comunisti che nella sua Costituzione aveva l’ateismo pratico. Se tu andavi a Messa era anticostituzionale. E poi, mi diceva uno dei ministri, che sono state distrutte – voglio essere preciso nella cifra – 1.820 chiese. Distrutte! Ortodosse, cattoliche… in quel tempo. E poi, altre chiese sono state trasformate in cinema, teatro, sale da ballo… Io ho sentito che dovevo andare: è vicino, in un giorno si fa….”».

Possiamo dire che Bergoglio va in Albania anche per rilanciare il dialogo interreligioso?
«Sì, senza alcun dubbio. Ancora una scelta della periferia. Come per Lampedusa e per i viaggi in Calabria e Molise. Francesco non è mai tenero verso il potere della finanza e l’attrazione del denaro. Però il caso albanese rappresenta per lui soprattutto un paese in cui tutti i credenti hanno sofferto da un’ideologia che voleva chiudere il cielo agli uomini e fondarne la vita sul materialismo. Ripeto: tantissimi cristiani, cattolici e ortodossi insieme, hanno sofferto per la loro fede. In questa terra si è manifestato quell’ecumenismo dei martiri o del sangue di cui Francesco ha parlato già diverse volte sulla scia di Giovanni Paolo II. Si può immaginare che il Papa renda omaggio a questi martiri, in qualche maniera. Ci sono in Albania ancora alcuni cristiani scampati alle persecuzioni e sarebbe bello se il Papa potesse incontrarli. L’integrazione degli albanesi in Italia è ormai una realtà dopo tanti discorsi urlati e sbagliati sull’’invasione’. Francesco può parlare a loro quando vuole a Roma o in Italia. È vero peraltro che l’Albania è una terra da cui tanti sono emigrati negli ultimi venti anni e Francesco potrebbe rilevare appropriatamente, nella sua visita, il vuoto lasciato da almeno un quarto di popolazione che se n’è andata a lavorare altrove in Europa e che ora, fra l’altro, mantiene in misura notevole il Paese con le rimesse».

Il Segretario di Stato, Cardinale Pietro Parolin, interpellato sul presunto allarme circolato su possibili attacchi terroristici durante il viaggio apostolico, ha detto “non siamo affatto preoccupati per la visita di Papa Francesco a Tirana del 21 settembre, che si svolgerà normalmente”.  Da dove deriva l’allerta?
«Conosco e apprezzo da oltre vent’anni la prudenza e la capacità diplomatica con cui monsignor Parolin affronta questioni delicate sullo scacchiere internazionale: dalla Cina all’America Latina. Non ci sono motivi per dubitare delle sue parole. Credo che l’allerta sia una esagerazione dei mass media».

“Le sfide pastorali della famiglia nel contesto dell’evangelizzazione” è il tema dell’assise della III Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi indetta da Papa Francesco che si terrà in Vaticano dal 5 al 19 ottobre 2014. Un appuntamento nodale per la Chiesa che si troverà ad affrontare questioni “spinose”. Desidera dirci le maggiori?
«Al Sinodo dei vescovi sulla famiglia non si tratta semplicemente di ribadire dottrine ma di trovare soluzioni: per i divorziati risposati e per tutti. Il Sinodo deve attrezzarsi come un ospedale da campo per sanare le tante ferite aperte e per sostenere un futuro più robusto. All’insegna della misericordia. Sono in campo questioni fondamentali, non più rinviabili. Quando fu eletto Papa, Karol Wojtyla convocò il suo primo sinodo proprio sulla famiglia poi il 13 maggio 1981 istituì il pontificio consiglio per la famiglia e non fu in grado di darne l’annuncio perché ci fu l’attentato in piazza San Pietro. Fu come un sigillo. E il giorno della canonizzazione, Francesco ha affidato il sinodo sulla famiglia a Giovanni Paolo II. La famiglia è un tema che in qualche modo si impone ai Papi. E i Pontefici lo rilanciano. Benedetto XVI ha aperto il sinodo sulla nuova evangelizzazione con una fondamentale omelia sulla famiglia. Inoltre più di cento padri sinodali sostennero che la famiglia è uno dei soggetti principali della nuova evangelizzazione. Appena ha preso possesso del pontificato, Francesco si è trovato sul tavolo il tema della famiglia, esploso proprio durante i lavori del sinodo sulla nuova evangelizzazione. E ha deciso di celebrare non uno ma due sinodi sulla famiglia, come ha evidenziato il ministro vaticano della Famiglia, monsignor Vincenzo Paglia. Quella dei divorziati risposati è evidentemente una questione che coglie la sensibilità ecclesiale dal basso e che non è imposta dall’alto. In maniera assolutamente inaspettata, i questionati inviati nelle conferenze episcopali hanno ottenuto una grandissima partecipazione da parte dei fedeli di tutto il mondo. Occorre partire da quelle molte migliaia di risposte. Senza dubbio l’interesse per la famiglia riflette la centralità di questo tema nella vita concreta delle persone. Le attese da parte dei fedeli sono fortissime. È singolare ed estremamente significativo che sia le attese sia l’interesse per il sinodo sulla famiglia vadano ben oltre i confini ecclesiali al punto da incontrare l’attenzione delle altre Chiese cristiane, delle altre religioni e dello stesso mondo laico. Ovviamente l’intenzione pastorale di papa Francesco colora il Sinodo di una dimensione di concretezza e suscita attese inusitate prima d’ora. I vescovi si trovano di fronte ad una sfida che è eminentemente pastorale e quindi con risvolti, decisioni e linee operative che toccano e riguardano i tanti aspetti della vita che ruotano intorno al matrimonio, alla famiglia e alla vita».

La scorsa domenica 14 settembre il Santo Padre a Piazza San Pietro per la prima volta da quando è Pontefice ha unito in matrimonio venti coppie. Una di queste coppie di fidanzati è composta da una ex ragazza madre e da un uomo il cui matrimonio precedente è stato annullato dalla Sacra Rota. Anche questa apertura fotografa la nuova Chiesa di Bergoglio?
«Francesco è così. La sua Chiesa è “ospedale da campo” e per questo milioni di persone in tutto il mondo si stanno riavvicinando alla fede. Per capire Francesco bisogna conoscere padre Bergoglio. Severo gesuita dalle sobrie abitudini, amava girare per la sua città in autobus, vestito da semplice prete. A 35 anni era già il Provinciale, cioè il capo dei gesuiti d’Argentina. Nella prova terribile della dittatura militare, Bergoglio si mosse per salvare preti e laici dai torturatori. Di lui si diceva prima del conclave: «Gli basterebbero quattro anni per cambiare le cose». Pessimi i rapporti con Menem e Duhalde, gelidi con de la Rua (Bergoglio andò a trovarlo il 12 dicembre 2000 per avvertirlo del rischio di una rivolta popolare, scoppiata un anno dopo), freddi appunto con Kirchner, che non ha seguito tra la folla sulla piazza della Casa Rosada (la cattedrale era stracolma) la messa celebrata da Bergoglio in morte di Wojtyla. Buone invece le relazioni con Luis D’Elia e il movimento dei piqueteros: un giorno Bergoglio chiamò il ministro dell’Interno per lamentarsi della polizia che manganellava una donna inerme. Il pensiero economico di Francesco: oltre Marx contro la “globalizzazione dell’indifferenza”. Dopo la scelta di campo di Wojtyla a favore dell’Occidente capitalista rispetto all’Oriente comunista e il modello ratzingeriano delle “elite creative”, la “svolta a sinistra” e il Vangelo sociale di Bergoglio richiamano alla memoria l’apertura modernizzatrice vissuta dalla Chiesa con il passaggio da Pio XII a Roncalli. Insomma un Papa che punta l’indice contro gli “gnomi della finanza”. In America Latina la sua battaglia gli ha guadagnato la stima dei leader del movimento per i diritti umani, come Alicia de Oliveira, e il rispetto delle madri di Plaza de Mayo, durissime nei confronti della gerarchia cattolica. Bergoglio non si è mai piegato ai caudillos, militari o politici, che si sono alternati alla guida dell’Argentina. Condivide l’impostazione politica del suo predecessore, l’arcivescovo emerito di Buenos Aires Antonio Quarracino, non lontano dall’ala popolare dei peronisti. La sua biografia offre spunti di comprensione per la “rivoluzione” che sta realizzando sul Soglio di Pietro. Bergoglio ha studiato e si è diplomato come tecnico chimico, ma poi ha scelto il sacerdozio ed è entrato nel seminario di Villa Devoto. Da arcivescovo della capitale ha vissuto l’esperienza traumatica del default del 2001, con le strade invase dal rumore assordante delle “cacerolas”. Fu accanto agli argentini che protestano contro le politiche neoliberiste e che scesero in piazza a milioni battendo sulle pentole. Erano gli anni del fallimento dell’Argentina e l’arcivescovo di Buenos Aires criticò apertamente le scelte di Nestor Kirchner, ritenendole incapaci di risolvere la crisi, anzi, colpevoli di aggravare la povertà nel quale erano confinati troppi argentini. Non appena il cardinale protodiacono Jean-Louis Touran ha annunciato al mondo il nome del nuovo Pontefice, i media argentini hanno rievocato i rapporti complicati con la famiglia Kirchner. E cioè con l’attuale presidente argentino, Cristina Fernández de Kirchner e con il suo predecessore, il marito Nestor Carlos nel 2010. In particolare il Clarin e la Nacion hanno ricordato che Nestor Kirchner definì Bergoglio il “vero rappresentante dell’opposizione”».

Di cosa si occupa il blog Oltretevere?
«Da 22 anni mi occupo di informazione religiosa. Prima al Servizio Informazioni delle Chiese Orientali (Sico), poi per sei anni al Tg1 e infine dal 2001 alla Stampa di cui sono da sette anni il vaticanista. Il blog Oltre Tevere è la sintesi di tutte queste mie esperienze professionali e di vita maturate nel corso di tre pontificati straordinariamente interessanti come quelli di Wojtyla, Ratzinger e Bergoglio, oltreché attraverso le ricerche effettuate per la decina di libri che ho scritto per i principali editori italiani sul Vaticano, la Chiesa cattolica e il dialogo interreligioso».