La storia di uno strano imprenditore agricolo. La bontà di Dio e la nostra invidia

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:  «Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna… (Vedi il Vangelo di Matteo 20, 1-16. Per leggere i testi liturgici di domenica 21 settembre, 25 del tempo ordinario “A”, clicca qui).

DIO CATTIVO PADRONE

La parabola di oggi pone da sempre grosse difficoltà: Dio è padrone di casa ma sembra essere un cattivo padrone: dà la stessa paga a chi ha lavorato di più e a chi ha lavorato di meno. Ma, allora, Dio è ingiusto?

Il regno dei cieli è simile a…”. Dunque Gesù sta raccontando, un’altra volta, delle parabole per dire che cosa significa la presenza di Dio in mezzo agli uomini. È una scena quotidiana di un villaggio palestinese ai tempi di Gesù. La disoccupazione, molto spesso, è alta. Uno storico ebraico, Flavio Giuseppe, racconta che, finiti i lavori attorno al tempio di Gerusalemme (62-64 d. C.), furono disposti i lavori di emergenza a beneficio di 18.000 lavoratori restati disoccupati. Dunque, anche nel villaggio della parabola, molta gente non ha lavoro. Arriva la vendemmia e un proprietario terriero ha bisogno di lavoratori. Al mattino esce, si accorda con alcuni disoccupati, pattuisce la paga, un denaro, la paga corrente di una giornata di lavoro, e li manda nella vigna. Non esce però soltanto al mattino, ma anche in diversi momenti della giornata. Anche con quelli delle nove concorda il salario. Degli altri lavoratori, compresi quelli chiamati per ultimi, non si precisa il salario concordato.

Secondo la bibbia, l’operaio doveva essere pagato alla sera: «Darai all’operaio ogni giorno il suo salario; non lascerai che il sole tramonti su di esso, perché è povero ed ha stretto bisogno del suo salario: così non griderà a Jahvè contro di te» (Deuteronomio). Quando, dunque, arriva il momento della paga, la sorpresa. Si inizia a distribuire la paga dagli ultimi e questi prendono un denaro, come se avessero lavorato tutta la giornata. Quelli che hanno lavorato tutta la giornata pensano di ricevere di più e invece ricevono anche loro un denaro soltanto. E quindi mormorano. La loro mormorazione è l’espressione del buon senso corrente; abbiamo lavorato di più, dobbiamo prendere di più. È proprio quel buon senso, però, che viene superato di slancio dalla logica sorprendente del padrone della vigna. Egli, infatti, non agisce secondo il buon senso e la mormorazione degli operai è l’espressione concreta dell’incapacità di capire quella logica.

LA DELUSIONI DEI BUONI

Nessuno dubita che il padrone della vigna è l’immagine di Dio e coloro che si lamentano sono i buoni, i devoti, coloro che amando Dio si aspettano di essere concretamente riconosciuti in quello che fanno per lui. Per Gesù questi buoni avevano un volto preciso: erano gli ebrei e, tra gli ebrei, i farisei, che erano “i più buoni” degli ebrei. Lo scandalo degli ascoltatori di Gesù si capisce, allora: questi ebrei così devoti e osservanti vengono trattati come gli ultimi arrivati. Ma la libera, sovrana generosità di Dio supera immensamente tutto quello che l’uomo può fare e pensare. C’è da notare soltanto che Dio dà non secondo ciò che gli operai hanno meritato, ma secondo il loro bisogno. Per vivere hanno bisogno di un denaro. La distanza fra il loro lavoro e la loro paga è colmata dalla bontà del padrone della vigna. Hanno dato poco. Grazie alla bontà del padrone ricevono tutto quello che è loro necessario.

La frase cruciale della parabola, dunque, è quella del padrone: «Perché io sono buono»: il punto di vista di Dio non  è quello della giustizia, ma quello della bontà. Dio ama anche gli ultimi come i primi. Invece coloro che protestano non si lamentano di quello che è stato tolto loro ma di quello che è stato dato agli ultimi. Il loro movente è il confronto con gli altri e quindi l’invidia, cioè l’esatto opposto di quello che fa agire Dio. Il loro punto di vista non è Dio e la sua bontà, ma loro e ciò che loro fanno: la salvezza, in altre parole, non dipende più da Dio e dalla sua bontà, ma da quello che fa l’uomo. E questo è il loro grande errore.

LA DISTANZA FRA I MIEI MERITI E LA SUA GRAZIA

Il padrone esce sulla piazza. In mezzo alla città c’è l’infelicità umana e c’è la chiamata di Dio. A tutte le ore della giornata. Non si danno limiti a questa presenza. In ogni momento l’uomo può aver bisogno e a ogni ora Dio può chiamare. Si tratta di “coglierlo” quando passa: “Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino”, dice la prima lettura. Già all’inizio di questo incontro esiste, in maniera evidente, una sproporzione: tra la totale necessità dei disoccupati e la totale gratuità del padrone che chiama.

La parabola non va letta come una indicazione sul come risolvere i problemi sindacali. Gesù non vuole dirci questo. Vuole invece parlarci della bontà di Dio che dà anche a chi non merita. La sua bontà è molto più grande di quello che noi possiamo aver accumulato. Sono due punti di vista irriducibili. Se sono io il punto di riferimento, diventa evidente che se io faccio molto devo ricevere molto, se faccio più degli altri devo ricevere di più. È un sistema che mette in gioco i criteri di valutazione umana e quindi il confronto, lo scontro, l’invidia. L’altro punto di vista, invece, quello che riferisce alla bontà di Dio, deve partire da una sproporzione: Dio e la sua bontà immensa e la mia povertà. Non ho nulla da rivendicare, ricevo tutto e quindi non posso fare nessun confronto.

CHE BELLO ESSERE NELLA TUA VIGNA FIN DAL MATTINO…

Come ci collochiamo davanti al Signore? Guarda a quante messe sono andato, guarda quante cose faccio per te… Anzi, Signore, mi sembra che mi chiedi troppo. Siamo allora i farisei; siamo gli operai della parabola che hanno lavorato tutta la giornata. Siccome ho fatto molto, devi darmi molto. Naturalmente, siccome conto i miei meriti, mi confronto  con gli altri: io ho lavorato più degli altri, merito di più. Il fariseo è, per forza di cose, invidioso.

Invece, Signore: come mi vuoi bene: mi hai chiamato fin da piccolo a essere tuo figlio. Sono nella tua vigna fin dal mattino. Non esiste nulla di più grande della compagnia del mio Signore. Sono felice di essere nella vigna fin dal mattino e, alla fine, quando ricevo il dono, mi accorgo che in realtà ho già ricevuto, perché il Signore mi ha già donato la sua compagnia. Il dono più grande è quello. Grazie della Parola che mi hai sempre detto, in tutta la mia giornata, delle molte eucarestie che mi hai dato, delle consolazioni che la mia fiducia in te mi ha procurato, grazie dei fratelli nella fede, quelli che hanno lavorato con me nella vigna. Grazie Signore: nulla è più bello che essere con te fin dal mattino. Perdonami se, qualche volta, vedo quello che è solo un dono tuo come se fosse un merito mio. Perdonami.

Adesso torno a casa e, amando mia moglie, mio marito, cercando di capire i miei figli, i miei genitori, appassionandomi per la giustizia e per la pace… superando ogni invidia, cercherò di far emergere nella mia vita la tua generosità. Nelle nostre piazze dove la gente cerca pace e serenità, tu ci chiami. Aiutaci ad assumere il tuo stile, il tuo modo generoso e disinteressato di agire.