Papa Francesco in Albania: nessuno si faccia scudo di Dio per commettere violenze

Ci sono giornate indelebili nella storia di un popolo. Sono giornate che restano lì, a segnare il passo di un cammino nuovo. Questo è stato, per l’Albania, il 25 aprile 1993: per la prima volta un Papa – Giovanni Paolo II – visita il Paese, ricostituendo letteralmente la Chiesa, dopo gli anni terribili della persecuzione da parte del regime ateo-comunista. Così sarà ricordato anche il 21 settembre 2014: dopo 21 anni, un altro Papa – Francesco – torna in Albania per “confermare nella fede la Chiesa” e “incoraggiare” il Paese. Un appuntamento importante, dunque, atteso non solo dai cattolici, che qui sono una minoranza (circa il 15%), ma da tutti gli albanesi (oltre il 56% è musulmano). E Papa Francesco non ha deluso le aspettative. Anzi… “Il Papa, appena giunto, è rimasto molto colpito dalla quantità di giovani che l’hanno accolto”, ha confidato padre Federico Lombardi. Quella dei giovani è senz’altro una prima immagine per sintetizzare l’intero viaggio. I giovani che hanno seguito il Pontefice dappertutto: da piazza Madre Teresa all’Università Cattolica, dalla Cattedrale al Centro Betania. Insieme ai giovani ci sono altre istantanee con cui ripercorrere la visita: i leader religiosi, l’aquila, i martiri, l’abbraccio con due sopravvissuti alla persecuzione, don Ernest Simoni (Troshani) e suor Maria Kaleta, i bambini del Centro Betania…
Le religioni. Anzitutto i leader religiosi. Le parole del Papa sono state nette sin dal primo discorso, rivolto alle autorità nel palazzo presidenziale. “Nessuno – ha detto – pensi di poter farsi scudo di Dio mentre progetta e compie atti di violenza e sopraffazione! Nessuno prenda a pretesto la religione per le proprie azioni contrarie alla dignità dell’uomo e ai suoi diritti”. E, successivamente, durante l’incontro con i leader religiosi all’Università Cattolica, ha aggiunto: “Uccidere in nome di Dio è un grande sacrilegio!”. L’Albania, ha ripetuto più volte, “dimostra che la convivenza è possibile”. Una convivenza e un dialogo – ha spiegato ai leader religiosi – chiamati oggi a “due atteggiamenti”: “Vedere in ogni uomo e donna dei fratelli e delle sorelle” e impegnarsi “in favore del bene comune”. Perché “più si è a servizio degli altri e più si è liberi!”. Da qui l’invito a guardare ai “bisogni dei poveri”. Parole che fanno il paio con quelle pronunciate alle autorità: “Alla globalizzazione dei mercati è necessario che corrisponda una globalizzazione della solidarietà”. E con quelle al Centro Betania: “Il bene paga infinitamente di più del denaro, che invece delude”. Richiami particolarmente sentiti nel Paese delle aquile, sempre più minacciato dal relativismo e dall’individualismo, come denunciato più volte dai vescovi locali, e da mali antichi e nuovi: corruzione, squilibri sociali, attacchi all’istituzione della famiglia…
L’aquila e i giovani. Non è tutto “buio”, però. Non può esserlo per un Paese che ha un’aquila raffigurata sulla bandiera. Quell’aquila, ha suggerito Francesco durante la Messa in piazza Madre Teresa, “vi richiami al senso della speranza”. E ancora: “Non dimenticatevi l’aquila”. Questa “non dimentica il nido, ma vola alto. Volate alto! Andate su!”. In modo particolare, ha aggiunto, introducendo la preghiera dell’Angelus, “mi rivolgo a voi giovani! Dicono che l’Albania è il Paese più giovane dell’Europa e mi rivolgo a voi. Voi siete la nuova generazione, la nuova generazione dell’Albania, il futuro della Patria. Sappiate dire no all’idolatria del denaro, no alla falsa libertà individualista, no alle dipendenze e alla violenza; e dire invece sì alla cultura dell’incontro e della solidarietà. Così costruirete un’Albania migliore”. I giovani hanno capito forte e chiaro il messaggio. Lo testimoniano le lacrime diElidon Doday, un volontario di 31 anni, che corre gridando: “Ho stretto la mano del Papa! Per me è troppo importante. Le sue parole mi sono entrate nel cuore. Sì, voglio impegnarmi per il futuro, così come hanno fatto i nostri martiri”.
I martiri e i superstiti. Già, i martiri… I loro quaranta volti hanno “abbellito” la via principale di Tirana (Bulevardi Dëshmorët e Kombit), che conduce a piazza Madre Teresa. “L’Albania – ha riconosciuto il Pontefice durante la Messa – è stata una terra di martiri: molti hanno pagato con la vita la loro fedeltà. Non sono mancate prove di grande coraggio e coerenza nella professione della fede”. Lo sanno bene don Ernest e suor Maria che hanno raccontato la loro storia prima della celebrazione dei Vespri in Cattedrale. Le lacrime del Papa, subito dopo le loro testimonianze, hanno toccato i cuori dei presenti, ma non solo. Francesco è rimasto talmente impressionato da mettere da parte il discorso scritto e parlare a braccio. “Questo popolo – ha esclamato – ancora ha memoria dei suoi martiri!”. E rivolgendosi ai due sopravvissuti: “Scusatemi, se vi uso oggi come esempio, ma tutti dobbiamo essere d’esempio l’uno all’altro. Andiamo a casa pensando bene: oggi abbiamo toccato i martiri”. Un fermo immagine, questo, a corollario di una giornata davvero storica.