Occhi aperti sul mondo, per costruire ponti tra culture

Nel corso dei nostri cicli vitali incontriamo persone, conosciamo nuove realtà, abbandoniamo amicizie e ne troviamo di nuove, ma ci sono visi che rimangono come una presenza costante nella nostra vita, seppur cambiati o lontani. Ed ecco che alla ricerca di una testimonianza per i 50 anni del Celim penso subito a Dario. Sono le 22.11 di lunedì sera. Io come al solito sono in ritardo. Entro nel bar e trovo Dario seduto, sorridente e in camicia bianca. Undici anni fa dividevamo un altro tipo di tavolo: il banco di scuola. Grazie al cielo questa volta davanti a noi non ci sono dizionari di greco o di latino, ma solo due tazze di té. Da aprile 2014 Dario è un collaboratore del Celim. Gli ho chiesto questa intervista per poter conoscere meglio l’organizzazione tramite il suo punto di vista: giovane, emozionato ed emozionante. Le mansioni di Dario sono molteplici. Coordina, si occupa delle pubbliche relazioni e della formalizzazione dei progetti. Già due, finora, i progetti che ha visto nascere: “Una goccia in salute” di Alessandro Manciana e “Piccoli semi e grandi opportunità” in collaborazione con la Aspem (associazione solidarietà paesi emergenti). «Ogni progetto deve essere valutato nel suo contesto – mi spiega -. Solo conoscendo le etnie, i territori, i problemi e i bisogni, si può delineare il percorso di una missione. La preparazione e la formazione di un cooperante è assolutamente centrale nella definizione di un approccio che possa vincere le resistenze e recuperare i saperi atavici».
Osservare e monitorare i cooperanti in Bolivia e Costa d’Avorio dagli uffici del Celim è sicuramente diverso dal viverli quotidianamente sul posto, ma la possibilità di ricevere foto in tempo reale, telefonare tramite skype o anche solo sentire la voce dei volontari direttamente dall’altro capo del mondo ha accorciato drasticamente  i tempi e in qualche modo gli spazi. Internet ha sicuramente alleviato le sofferenze legate alla posta terrestre. Le buste arrivavano dopo 2 mesi dalla spedizione. Per non parlare di Skype: uno strumento incredibile. Dario mi ricorda però che «la rete è un mezzo potente ma non deve essere ostacolo nell’agire né deve far dimenticare che il contatto diretto è il miglior strumento di conoscenza delle diverse realtà. Comunicare è un diritto, ma immergersi totalmente nella terra che ti ospita è un dovere». Negli occhi di chi parte, ma cosa ancora più bella, anche di chi torna Dario mi ha detto di aver visto grandi ideali, forza e una giusta dose di senso pratico. Sono uomini che vedono la loro quotidianità negli occhi della fede. Uomini testimoni di evangelizzazione, che indipendentemente dalla loro appartenenza confessionale, portano il bene e il buono. Alessandro Manciana quindi continua a portare il bene nella periferia di El Alto – La Paz: ha raccolto fondi per poter rimanere un anno in Bolivia per sviluppare un progetto di sanità gratuita per la popolazione locale. E insieme all’Aspem, il Celim sta cercando di sostenere il recupero delle coltivazioni tradizionali in Bolivia, continuando a portare il buono.
Dario non mi nasconde che il compito di una Ong come il Celim non è facile oggigiorno. I fattori più problematici a cui il Celim dovrà prepararsi e farsi trovare pronto per il futuro sono essenzialmente 4: La crisi economica, che sta ovviamente tagliando fondi di natura pubblica ma anche privata; la concorrenza internazionale tra le Ong, che è causa di sempre più grandi squilibri nella disposizione dei bandi (il 2% delle Ong si aggiudica il 70% dei finanziamenti a disposizione). Il rovesciarsi del rapporto NordSud del mondo, con la sempre più forte rivendicazione tra paesi ricchi e paesi poveri della totale autonomia sul progetto. Il ricambio generazionale, che come nel resto d’Italia, sta appesantendo l’ente. Sfide importanti ma non impossibili.
Donatori di tutte le età, universitari, ragazzi del servizio civile, molti volontari: tutto questo è Celim. Persone dall’approccio estremamente filantropico e coinvolto, che hanno messo la loro professionalità al servizio di un impegno che non è meramente un lavoro, ma è una passione nella costruzione di ponti tra culture.
Dario ha avuto modo di fare un’esperienza di missione nel 2010, quando con il Centro Missionario Diocesano è partito insieme ai Padri Bianchi per il Mali. Tre settimane a contatto con guerra, condizioni igienico sanitarie precarie, ricerca dei bisogni primari. Ma anche tre settimane di curiosità,  fascinazione,  di sole e dal colore della chiesa africana. Le tre settimane si sono così trasformate in opportunità. «Lontani da telefoni e tv, godetevi l’essere uomini» diceva Padre Alberto Rovelli nel villaggio. Tutto questo è stato per Dario la scoperta di una dimensione di totale propensione al prossimo. Un impegno che può e deve essere di tutti. Un impegno che è da cinquant’anni quello del Celim.