Il cyberbullismo tocca un adolescente su dieci. Combattiamolo con il dialogo tra giovani e adulti

«Leggo spesso che alcool, droga, nuove tecnologie rappresentano le “nuove insidie”, le “nuove emergenze”. Credo, sono convinto, che questi siano piuttosto strumenti attraverso i quali si manifestano palesemente le vere insidie che sono rappresentate dalla rinuncia degli adulti a capire, ascoltare ed educare questi ragazzi. E allora diventa dare la colpa alle “nuove emergenze” come se noi alzassimo bandiera bianca sentendoci totalmente impotenti. Ma non sarebbe invece forse meglio riprenderci il ruolo che ci è sempre appartenuto? Quello di educatori che si mettono in gioco per accogliere i ragazzi e le loro difficoltà?». Ivano Zoppi, 43 anni, Presidente di Pepita Onlus grazie alla sua esperienza sul campo conosce le nuove insidie che mettono a rischio l’infanzia e l’adolescenza dei giovani del Terzo Millennio. Tra queste una delle più temibili è il cyberbullismo, termine che indica un tipo di attacco continuo, ripetuto e sistematico mediante la rete. Pepita, attraverso laboratori e interventi educativi insegna ai nostri figli a «vivere la rete come risorsa, opportunità per crescere».

Ivano, la frase che accompagna il logo di Pepita Onlus (www.pepita.it) è “la bottega dell’educare”. Di che cosa si occupa questa Onlus, della quale è presidente?
«Pepita è una cooperativa sociale creata da un gruppo di educatori esperti in interventi educativi e sociali, di percorsi di formazione e di attività di animazione rivolte a scuole, Comuni, oratori e parrocchie, realizza ricerche sociali sugli adolescenti in collaborazione con istituzioni universitarie, tra cui l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. La missione è valorizzare, in ogni singola attività, gli elementi dell’educare, convinti che in ogni bambino o adolescente vi siano risorse da esprimere e sostenere nella crescita: contro il disagio giovanile e il rischio di emarginazione tipico delle città metropolitane, Pepita si adopera per accompagnare gli adolescenti nel loro viaggio verso la maggiore età e opera su tutto il territorio nazionale (2 sedi operative a Milano e Bari). Un’attenzione particolare è rivolta alle famiglie che spesso sono a rischio di disgregazione o non riescono a recuperare relazioni vere. Il concetto della “bottega” per noi rappresenta l’essenza: non siamo un progettificio, piuttosto ci piace pensare al vecchio mastro della bottega che ti guida, ti accompagna, che costruisce un oggetto su misura, partendo dai tuoi bisogni e dalle tue esigenze».

Come prevenire e mettere in guardia dai tanti pericoli della rete, grande piazza affollata di persone sconosciute, i ragazzi che navigano senza filtri?
«La rete innanzitutto è una risorsa, una opportunità, una grande porta che ci consente di essere costantemente in contatto con il mondo. Ed è questo che va fatto capire ai ragazzi. Vivere la rete come risorsa, opportunità per crescere. Trasmettere loro la capacità di discernere tra ciò che è giusto e sbagliato, tra ciò che è bene e ciò che invece non lo è. Se ci immaginiamo davvero la rete come una grande piazza… nel momento in cui mi trovo in piazza, sotto lo sguardo di tante persone, mi metterei a fare certe cose? Potrei mai mettermi a offendere qualcuno? A “picchiarlo”?».

I vostri percorsi di formazione e di attività di animazione sono rivolte a scuole, Comuni, oratori e parrocchie.  Avete organizzato un laboratorio anche in qualche oratorio o parrocchia di Bergamo e provincia?
«Sì, lo scorso anno abbiamo realizzato un laboratorio sulla prevenzione del cyberbullismo nella parrocchia di Locate S. Pietro. Abbiamo lavorato prima con i ragazzi e poi con i genitori. Riteniamo fondamentale sollecitare anche i genitori a riprendersi la responsabilità educativa anche su questi temi».

Ci descrive il lavoro che viene compiuto durante uno dei vostri laboratori?
«Attraverso dinamiche attive, giochi, simulazioni, portiamo i ragazzi non solo a riflettere sul tema (cyberbullismo, sexting, bullismo sessuale) ma a prendere coscienza del possibile ruolo che loro possono avere nel prevenire, nell’informare i loro coetanei, nel far crescere la consapevolezza che se dovessero mai vivere una esperienza del genere è bene che ne parlino subito con qualcuno. Nei nostri laboratori i ragazzi sono portati a produrre slogan, video, azioni concrete da mettere in atto per sensibilizzare gli adulti, i coetanei. E noi lavoriamo anche su un concetto importante: noi possiamo essere gli esperti, quelli che sanno della tematica, ma siamo pur sempre delle meteore; facciamo il laboratorio, lasciamo degli stimoli, dei prodotti, ma poi c’è chi deve garantire la continuità educativa (insegnanti, genitori, educatori). Questo è un presupposto fondamentale per non rischiare di fare sì un bel lavoro, ma che rimane fine a se stesso».

Ormai è allarme cyberbullismo anche nel nostro Paese. Nel 2014, un adolescente su dieci di età compresa fra i 13 e i 17 anni ammette di aver vissuto questo fenomeno in Italia. Il 70% dei preadolescenti utilizza internet e i social network liberamente. Il 20% dei ragazzi ha pubblicato su Facebook o Instagram foto di cui poi si è pentito. Desidera commentare questi dati della ricerca da voi realizzata?
«Siamo passati in brevissimo tempo da una società in cui “fruivamo” di contenuti prodotti da altri a una in cui ciascuno di noi diventa produttore di contenuti da condividere. Questo processo è sostanzialmente incontrollabile per due motivi: il primo è il bisogno di affermazione che passa attraverso la condivisione (se non posto la foto di quel posto allora non ci sono stato… se non sono su internet, allora non esisto); il secondo è l’avanzamento dei prodotti tecnologici che non solo ci invita, ma quasi ci obbliga a produrre contenuti (vi è mai capitato di comprare un telefono cellulare che telefoni e basta?). Da questi dati emerge quanto detto: i ragazzi hanno voglia, bisogno di produrre e condividere contenuti per affermare la loro esistenza, la loro identità. E questo, come educatori, non può non lasciarci degli interrogativi forti. Proprio recentemente abbiamo realizzato il laboratorio “Selfiedunquesono” con l’obiettivo di far capire ai ragazzi che l’affermazione della propria identità, della propria unicità non passa necessariamente attraverso la produzione e la condivisione di immagini ma, prima di tutto, dal riconoscimento di un se stesso vivo, attento, carico di emozioni, domande, vissuti da condividere con le persone nella realtà».

Qual è l’identikit del cyberbullo?
«Esiste l’identikit del cyberbullo? Nel corso di questi anni l’esperienza mi ha insegnato che dentro ciascuno di noi può nascondersi un potenziale cyberbullo. Quando “postiamo” senza pensare, quando condividiamo qualcosa senza pensare alle conseguenze di ciò che facciamo». 

“Per i giovani che stanno crescendo a contatto con le nuove tecnologie, la distinzione tra la vita online e offline è minima. Le attività che i ragazzi svolgono online hanno quindi spesso conseguenze anche nella loro vita reale. Allo stesso modo, le vite online influenzano anche il modo di comportarsi dei ragazzi offline e questo elemento ha diverse ricadute sulle vite dei giovanissimi”. È d’accordo con l’affermazione fatta dal comandante della Polizia postale della regione Veneto, Tommaso Palumbo?
«Assolutamente d’accordo. Vale ancora la distinzione tra reale e virtuale? Per i nostri ragazzi decisamente no. Come ho detto prima qualcosa diventa reale nel momento in cui lo vedo pubblicato».

Il cyberbullismo non si ferma fuori dalla porta di casa ma perseguita la giovane vittima anche dentro le pareti domestiche, causando a volte gesti inconsulti del perseguitato con gravi conseguenze. In questo contesto qual è la responsabilità della famiglia?
«Stare con i ragazzi. Riprendersi quel ruolo educativo che attiene in maniera specifica alla famiglia. Questa credo sia la più grande responsabilità. Stare realmente con i ragazzi cercando di ascoltare i segnali che ci mandano e rimandando a loro comportamenti corretti, sani. Sembra un ripetere concetti già espressi ma è forse proprio in questo modo, ripetendo, che possiamo capire e accettare di nuovo questo ruolo di educatori».