Nei centri d’ascolto Caritas mille persone che si spendono gratuitamente per gli altri

Parlare di povertà partendo dai numeri può sembrare riduttivo, perché parliamo, sempre, di persone. E sembra quasi troppo facile lanciare allarmi: ormai è chiaro a tutti che gli anni di crisi stanno lasciando il segno anche tra chi, in passato, se la cavava bene da solo, fino a lambire, ora, il cosiddetto “ceto medio” (ma esiste ancora?).
Ma i numeri ci servono per incominciare a rispondere a una domanda complessa: chi è povero oggi a Bergamo? Un’indagine condotta dalla Caritas sull’attività dei Centri di primo ascolto e coinvolgimento della diocesi, che sarà presentata oggi alle 18 all’oratorio di San Paolo durante un seminario su “I volti dei poveri nelle nostre comunità parrocchiali” ci dice due cose importanti: la prima è che l’anno scorso novemila persone hanno bussato alla porta di questi centri per chiedere aiuto. La seconda è che ci sono quasi mille persone suddivise nei 73 punti di ascolto diocesani che insistono sul territorio di 213 parrocchie (su 380 in totale) che donano gratuitamente il loro tempo per aiutare gli altri. Fra l’altro ben 29 centri sono nati solo di recente, tra il 2008 e il 2013.

“Bisogna superare – spiega Marco Zucchelli, sociologo – il luogo comune che si tratti soltanto di stranieri. C’è un continuo incremento di persone italiane e in generale, in valori assoluti, di tutti i tipi di bisogno. E questo aumento di richieste di aiuto è anche un segno che sempre più si riconosce ai centri di primo ascolto la capacità di essere segni di presenza di chiesa sul territorio”. Ciò non toglie, continua Marco, che la risposta generale alla povertà non debba essere affidata alla Caritas, che è appunto un segno sul territorio, ma alla politica.
Le famiglie seguite dai Cpac rappresentano il 2,6-3% della popolazione totale: “E bisogna pensare che poi ci sono altre persone che si rivolgono ad altri soggetti, dal Centro di Aiuto alla vita alla San Vincenzo e fine al Centro d’ascolto diocesano. La realtà della povertà è molto più ampia. Ma a Bergamo c’è anche un altro aspetto da considerare, il 10% della popolazione ha a disposizione più del 50% del reddito prodotto. La forbice tra chi ha molto e chi non ha niente è molto larga”.
L’aiuto dei Cpac non è fatto solo di pacchi viveri e vestiti: “La maggior parte delle persone che ci chiedono aiuto – spiega Marco Zucchelli – non ha un lavoro e sta male per questo non solo dal punto di vista economico, ma anche personale: è come se venisse privata della sua dignità. E’ necessario perciò trovare attività e forme di attenzione che ne tengano conto. Di pari passo il sistema del welfare sta cambiando radicalmente e anche questo costringe la Chiesa a pensare un modo diverso di essere Caritas. Sempre più si moltiplicano le forme di collaborazione con le istituzioni pubbliche”.
E’ molto significativo anche il dato che riguarda il complesso dei fondi che i Cpac fanno circolare: “Sono 900 mila euro all’anno, tutti dati ai poveri – sottolinea Marco Zucchelli – ma la cifra è sottostimata e non tiene conto dei costi di gestione: l’uso e la pulizia dei locali che vengono usati, le bollette, gli strumenti necessari. Sono tutte spese di cui si fanno carico le parrocchie”.
L’attenzione e lo stile della cura e della relazione sono una priorità per la Caritas: i volontari prima di mettersi all’opera sul campo seguono almeno un anno e mezzo di formazione: “Ci vogliono – osserva Marco Zucchelli – persone attente e preparate per capire e leggere il contesto sociale. E poi c’è anche un periodo di tirocinio con la supervisione degli operatori del centro diocesano”.
I Cpac sono servizi segno che appartengono alla comunità e non servizi sociali: “E’ fondamentale – aggiunge il sociologo – perché la nostra carta vincente è puntare sull’ascolto e sulla relazione. Si fa un percorso insieme e il centro di ascolto è un luogo dove si costruisce un legame di vicinanza tra persone, al di là dell’aiuto materiale. E’ bello ma difficile, le criticità non mancano. Ci chiediamo anche come poter fare un passo in più, come far circolare nelle comunità quello che avviene nei Cpac, come rendere tutti un po’ più attenti alle situazioni di fragilità”.

I volontari Caritas si mettono in gioco, sperimentano strade diverse, accettano di non avere subito le risposte. e persone capaci di sperimentare di costruire risposte trovare strade diverse. Il 50% dei volontari sono pensionati, che offrono il loro valore aggiunto di saggezza ed esperienza, e c’è una forte presenza (22%) anche di casalinghe, ma tutte le categorie professionali sono rappresentate.

Tra i segnali più preoccupanti l’aumento delle richieste di aiuto da parte dei nuclei familiari con bambini piccoli, tra 0 e 3 anni. Sono per due terzi stranieri, ma ce ne sono anche 50 italiani: “Per quanto riguarda gli stranieri, però – distingue il sociologo – non si tratta di irregolari, ma di persone con permesso o carta di soggiorno in Italia già da lungo tempo. Queste famiglie in genere sono più protette, e seguite da altri soggetti come i servizi sociali e i Cav. Il fatto che arrivino ai Cpac è un segno della difficoltà della situazione attuale”.
Oltre 50 per cento italiani e 60 degli italiani disoccupati persone che non hanno In questo quadro i Cpac sono davvero segni di speranza, dimostrano la capacità del territorio di costruire strumenti di attenzione e di relazione. “La povertà a Bergamo – osserva Marco Zucchelli – mette in discussione il concetto stesso di democrazia. In passato anche un operaio poteva sentirsi realizzato, adesso senza lavoro non c’è più nulla se non rabbia, tensione, paura del futuro, la diffusione di un generico populismo. Questo ci fa pensare allo stesso modello di società in cui stiamo vivendo. E a quanto ci possa far sperare constatare che ci siano qui da noi un migliaio di persone che gratuitamente si spendono per gli altri”.