Il calo di vocazioni femminili? È iniziato con gli anni Cinquanta. Una rivoluzione per la donna

Il calo delle vocazioni religiose è generalizzato, anche se Bergamo resta una terra ricca. Ma il calo negli istituti femminili è ancora più consistente, e il saldo tra quelli che chiudono e le nuove congregazioni che nascono è negativo. Come mai? Ce lo dice la storia: l’inversione di tendenza è iniziata negli anni Cinquanta, con il femminismo e le battaglie per il divorzio e l’aborto. Prima quella della suora era una figura socialmente molto rilevante, la Chiesa era protagonista indiscussa della promozione culturale, sociale e professionale della donna. Poi…Ne parliamo con don Goffredo Zanchi, storico e docente al Seminario Vescovile «Giovanni XXIII».

Com’era nei tempi più antichi la vita nei monasteri femminili?
«Nei tempi antichi entravano nei monasteri femminili, e in particolare in quelli di clausura, soprattutto donne nobili che potevano versare una dote adeguata. Dal 1.500 però venne aperta a tutte le donne la possibilità di scegliere la vita religiosa senza obbligo di clausura e con il pagamento di doti più modeste. È di quel periodo l’esperienza di Sant’Angela Merici, fondatrice della “compagnia delle dimesse di Sant’Orsola” e (tra ‘500 e ‘600) delle Suore di Carità di  San Vincenzo de’ Paoli.  In questi  ordini si  pronunciavano solo voti privati e annuali. Apparivano come semplici  fedeli che  facevano vita comune e si dedicavano agli ammalati e a opere sociali».

Nell’Ottocento, dopo la Rivoluzione Francese e con la Rivoluzione industriale, cosa cambia?
«Con la Rivoluzione Francese cade il maggiorascato per le famiglie nobili, cioè la trasmissione dei beni di famiglia al solo primogenito e viene debellata la piaga delle monacazioni forzate. Entrano negli istituti religiosi anche donne di ceti popolari. Viene ancora richiesta una dote, ma proporzionata ai mezzi disponibili. Si moltiplicano gli istituti religiosi di vita attiva, fuori dalle comunità e dai conventi, dediti  spesso ad un lavoro in ambito educativo o a servizio degli ammalati. Le suore vivono sul territorio in piccole comunità e danno vita alla prima rete di servizi sociali, con un minor costo e un maggiore affidamento».

Qual è il ruolo delle suore nella società in questo periodo, come le considera la gente?
«La Chiesa in questo periodo diventa protagonista di un’azione di promozione della donna. Pensiamo alle suore di Maria Bambina o suore di Carità: diventano migliaia e gestiscono in prima persona opere importanti, come scuole e ospedali. Esercitano un ruolo sociale  di grande rilievo rispetto alle donne del popolo e anche a quelle delle famiglie borghesi, in un tempo in cui le donne non lavorano e sono esclusive custodi del focolare».

In che modo in questo periodo la Chiesa dedica attenzione alla vita e alle esigenze femminili?
«L’attività pastorale nell’Ottocento insiste molto sulla donna, per poter arrivare suo tramite all’uomo (più difficile da raggiungere, più impegnato nel lavoro) . Viene dunque curata in modo particolare l’educazione femminile, dai primi anni fino all’età adulta, e di ciò vengono incaricate le religiose dei nuovi ordini di vita attiva. C’è una grande attenzione al mondo dell’infanzia, alle scuole, che permettono di creare rapporti diretti con le madri e e le nonne. A loro vengono dispensati consigli per rafforzarne la competenza sia in ambito igienico-sanitario  sia in campo educativo. Alcune figure di religiose, particolarmente autorevoli,  erano un punto di riferimento obbligato per le giovani e le adulte. La Chiesa costruiva insomma una sorta di rete protettiva che sosteneva lo sviluppo e la stabilità della famiglia. Questa tendenza all’espansione degli istituti femminili continua e arriva al culmine nella prima metà del Novecento.».

Com’è che questa tendenza a un certo punto si inverte?
«Il calo incomincia negli anni Cinquanta. Nascono ancora nuovi ordini, ma le nuove aperture non compensano le chiusure. È il momento in cui prende piede il movimento femminista, al servizio dell’emancipazione della donna e contro i tabù tradizionali. Questo movimento  ha un’espressione, benché limitata, anche all’interno del mondo ecclesiale con l’Azione Cattolica dell’immediato dopoguerra, ma non basta a contenere il crescente distacco dalla Chiesa. Dagli anni Sessanta questo distacco si accentua  con le lotte per il divorzio e per l’aborto e le congregazioni religiose femminili perdono il bacino dove potevano nascere e svilupparsi le vocazioni».

Come mai?
«Fino alla metà del Novecento il programma di promozione sociale della donna degli ordini femminili ha funzionato bene. In Italia alcune delle prime laureate erano suore.  Il loro ruolo sociale era rilevante. I più sensibili hanno avvertito i profondi mutamenti del dopoguerra ed hanno avviato riforme ed aggiornamenti delle regole anche prima del Vaticano II,  ma gli adeguamenti sono stati insufficienti. Non sono bastati nemmeno i cambiamenti dopo il Concilio.  A Bergamo il calo delle vocazioni è stato compensato dalle vocazioni provenienti dalle case aperte in paesi di missione, dove ci sono situazioni simili a quelle che l’Italia attraversava cent’anni fa».