L’amicizia si costruisce anche in rete. E non è così virtuale

E’ diventato naturale parlare nei social network, nei forum, in rete insomma, di cose talmente private che in passato non si sarebbero discusse nemmeno all’interno della famiglia. Un esempio famoso, che molti studiosi citano per introdurre questo argomento: Jess Jarvis autore di un celebre blog (e di diversi libri) in cui racconta del suo tumore alla prostata.
E’ una delle strane, insolite strade che la “fraternità” prende attraversando il web, con le dovute distinzioni: non esiste libertà assoluta, anzi. Non sono concessi a tutti lo stesso spazio e la stessa visibilità, cosa di cui invece molti sembrano ancora convinti: lo stesso Jarvis avrebbe avuto molte più limitazioni, probabilmente, se fosse stato una donna, magari divorziata e con quattro figli a carico. I vantaggi della rivoluzione digitale non sono uguali per tutti.
“Rivoluzione – fa notare, giustamente, Antonio Casilli, docente di Digital Humanities al Telecom ParisTech e ricercatore in Sociologia al centro Edgar Morin di Parigi – è una parola che mi irrita un po’. E’ una metafora che la politica ha preso in prestito dall’astronomia. Sottintende il sogno di tornare allo stato di natura, in modo che tutti ridiventino uguali come erano inzialmente e abbraccia quindi la nozione attuale di fraternità digitale”. Per analizzare questa nozione di fraternità, continua Casilli, ci sono due orientamenti possibili: approfondire la natura del legame sociale che nasce con, su e attorno ad internet e cercare di capire meglio cosa c’è dentro una delle più note declinazioni delle relazioni digitali: l’amicizia. Che cos’è l’amicizia in rete? “Ad un primo sguardo – sottolinea Casilli – potremmo definirla un’astuzia degli informatici per indicare il link tra due contenuti digitali. Il termine non l’ha inventato Facebook, anche se è lì che è diventato popolare, in realtà già altri social network l’avevano utilizzato, come myspace e friendster”.
Stiamo parlando di vera amicizia? “In realtà – spiega Casilli – questo termine applicato alla vita digitale deve essere messo tra molte virgolette. Sono in molti a porsi questa domanda, ed è difficile rispondere scientificamente, illuminando le connessioni tra rapporti online e offline”. Il primo problema che nasce è numerico. Secondo diversi studi sociologici c’è un numero preciso di connessioni che si possono stabilire efficacemente: il cervello si ricorda al massimo di 148 persone. Su carta possiamo essere in contatto con un grande numero di persone ma il quelle che conosciamo davvero sono poche. Su Facebook, invece, il numero medio di amicizie di ogni profilo è in continua progressione: nel 2013 era di circa 290. Con quanti di questi ci teniamo veramente in contatto? “A decidere quali contenuti mostrarci – chiarisce Casilli – è l’algoritmo di Facebook, che fa comparire sul nostro muro le notizie postate dagli amici con un criterio proprio. In pratica è il social network (e non una nostra scelta) a stabilire con chi abbiamo più o meno affinità”.
E’ inevitabile che l’intensità dei legami sia differenziata: “Da un lato – prosegue Casilli – ci sono le persone realmente connesse alla nostra vita, fuori dal mondo virtuale: la famiglia, gli amici più cari, i legami affettivi. Sono questi i legami forti, che tutti abbiamo”. Dall’altro ecco invece i “legami deboli”, con persone che frequentiamo poco o soltanto in determinate occasioni. “Legata all’idea dei legami deboli – osserva Casilli – c’è la teoria del “piccolo mondo”: ogni essere umano è connesso a ciascun altro da un numero finito di intermediari, fissati normalmente in sei: i sei gradi di separazione. Con l’avvento dei grandi media sociali i calcoli sono stati rifatti al ribasso. Facebook ha pubblicato un articolo che calcolava quanti gradi di separazione ci sono attualmente tra due utenti: sono diventati quattro. Viviamo in un contesto di alta densità sociale ma ci preoccupa la qualità. I legami deboli comprendono persone che forse abbiamo visto passare una volta, di cui abbiamo letto un commento in rete, oppure di cui abbiamo condiviso un contenuto. Eppure costituiscono in un certo modo un capitale sociale”. Secondo alcuni dietro questa realtà si nasconde una superficialità diffusa nelle relazioni umane. “A mio parere invece – afferma Casilli – ci sono aspetti molto positivi nella presenza di questi legami deboli. Negli anni Settanta Mark Granovetter ha dimostrato che c’è una forza nei legami deboli soprattutto quando dobbiamo affrontare sfide fuori dall’ordinario. Se dobbiamo trovare casa, comprare un’auto usata, risolvere un problema complesso di qualunque tipo, può esserci prezioso l’aiuto di qualcuno “fuori dal giro” che ha informazioni diverse e può rappresentare quindi una sorta di prolunga cognitiva”. Un esempio banale: con i social media si può per esempio migliorare la conoscenza delle lingue, leggendo articoli o guardando video che gli amici propongono. “Certo – aggiunge Casilli – se ricerchiamo un’amicizia solida in senso tradizionale è probabile che su Facebook resteremo delusi”. Le relazioni nei social hanno caratteristiche proprie: l’amicizia, per esempio, è performativa e dichiarativa. “Performativa – spiega Casilli – perché bisogna farla ogni giorno: bisogna cliccare, likare, stare attenti, è quasi un gesto fisico. E poi dichiarativa perché devo dichiarare che voglio essere amico di qualcuno. Se fosse così nella vita reale sarebbe terribile, saremmo perseguitati ogni giorno da persone che chiedono: vuoi essermi amico sì o no? E se gli dici di sì lo dichiara a tutti. E’ una cosa che somiglia al matrimonio, è un rapporto di natura contrattuale, una dichiarazione esplicita, registrata in un registro pubblico, un database. Non è disinteressata ma prende tutti gli elementi utilitaristici delle relazioni umane. Si diventa amico di qualcuno per poter avere accesso ai suoi contenuti. Diventiamo amici di persone per cui non sentiamo alcuna simpatia. Non si tratta però di una trasformazione dell’amicizia”. E’ qualcosa di diverso di cui dobbiamo ancora capire le caratteristiche, e per cui non esiste ancora un apprendimento collettivo, come accade per esempio tra le specie animali con il grooming, anche se è, come quello, un rito collettivo che ha una funzione e delle conseguenze sociali. Può essere un modo di non entrare nella guerra di tutti contro tutti che c’è su internet, dove ci sono moltissime persone che la pensano in modo completamente diverso da noi”. E stabiliamo nuovi legami, che ci rendono più forti: un’esperienza virtuale di comunità che le comunità vere possono sfruttare, trovando i mezzi perché potenzi quella reale. Più che un fastidio da evitare, un’occasione da sfruttare.