L’8 dicembre è la festa dell’Immacolata. Quel nome così solenne e così liturgico – “Immacolata concezione della beata vergine Maria” – rischia di darci un’idea estraniante di Maria. Una figura che suscita la nostra ammirazione, certo, ma che ci fa pagare con una indefinibile distanza. Invece. Immaginare una donna che è senza peccato, libera, dunque, ma è donna e madre è davvero immaginare ciò che di più bello di più umano si possa immaginare. Charles Péguy, grande poeta dei primi anni del ‘900, sente molto questi temi: l’umanità di Dio, la sua vicinanza a noi, che non nega la sua divinità, che, anzi, la esalta. In questa poesia gioca in maniera mirabilmente ardita con i termini “carnale” e “pura”. Maria è l’unica a essere l’una e l’altra cosa, “carnale” e “pura” insieme. E, quindi, è l’ideale di creatura perfettamente realizzato.
Vi sono giorni in cui santi e patroni non bastano più…
Bisogna prendere allora il coraggio a due mani
e volgersi direttamente a Colei che è al di sopra di tutto. Essere arditi…
Sempre qualcosa manca alle creature,
e non soltanto di non essere Creatore.
Alle carnali, sappiamo, manca d’esser pure; alle pure, dobbiamo saperlo, d’esser carnali.
Una sola è pura pur essendo carnale; una sola è carnale pur essendo pura.
Ecco perché la Vergine non è solo
la più grande benedizione discesa su tutto il creato;
non solamente la prima fra tutte le donne
“benedetta fra tutte le donne”;
non solamente la prima fra tutte le creature;
ma l’unica, l’infinitamente unica
infinitamente rara creatura.
Charles Péguy