Chi crede in Dio campa cent’anni. La fede come una medicina. Ma è vero?

Foto: Santa Teresa d’Avila, di Gian Lorenzo Bernini (particolare, chiesa di Santa Maria della Vittoria, Roma)

In Avvento, nella liturgia della Parola, il Signore promette spesso di venire a consolare il suo popolo. Nel Nuovo Testamento poi campeggia la promessa di consolazione fatta da Gesù agli afflitti che quindi si possono dire paradossalmente beati. Lo stesso discorso vale per quelli che piangono. Beati loro, perché poi rideranno. Dio stesso asciugherà le loro lacrime.

I SOLITI AMERICANI: CREDERE FA BENE ALLA SALUTE

È quindi comprensibile che la religione, anche per propaganda non sempre pertinente di noi preti, possa essere considerata un rifugio quando si ha bisogno di conforto e di consolazione. Stando a studi statistici perfino di marca laica, sembrerebbe che l’idea funzioni davvero. Infatti, da diverse inchieste, effettuate per la maggior parte in America, risulta che credenti e praticanti godono migliore salute dei miscredenti; sono più longevi, sono mediamente meno soggetti alle depressioni e alle principali malattie del secolo, e quindi disturbano meno medici e farmacisti. Lo riferiva tempo fa, in un lungo e circostanziato articolo, un serissimo quotidiano laicissimo del nord. Quando lo lessi, rimasi come elettrizzato. Questa – mi dissi – è la volta buona che invertiamo la strisciante tendenza della scristianizzazione. E cominciai a sognare chiese di nuovo stipate come spiagge d’estate e ritiri ricercati come le cure termali. Vedevo già gli spot pubblicitari sugli effetti benefici della preghiera fatta puntualmente ogni matti-na e ogni sera, quelli sull’efficacia della confessione e della comunione contro il logorio della vita moderna e perfino quella dell’acqua santa contro i brufoli degli adolescenti. E vedevo anche pubblicitari televisivi di idromassaggi e direttori di sale di aerobica preoccuparsi seriamente della concorrenza degli esercizi ignaziani, mentre la pratica dei percorsi-vita crollava a picco a vantaggio della Via Crucis.

LA CONFESSIONE CONTRO IL LOGORIO DELLA VITA MODERNA? NON FUNZIONA

Invece, ahimè, passate diverse settimane dalla pubblicazione di quell’articolo e dall’esplosione dei miei sogni di rimonta, non è accaduto assolutamente nulla di ciò che sognavo. E sì, che l’articolo era pubblicato da un giornale tra i nostri italiani più “in”, l’autore è notoriamente un signor giornalista, i dati erano stradocumentati, e le inchieste citate una più seria dell’altra e, a suffragarne ulteriormente la serietà e l’attendibilità, l’articolista ne indicava non solo il luogo e la data di effettuazione, ma anche le Università e gli Enti promotori. Come mai questo clamoroso fiasco delle mie attese di rilancio della religione, mentre qualsiasi strillone televisivo di prodotti dietetici o cosmetici, che, come tutti sanno, non sono che brodaglia, fa subito furgonate di soldi? Forse – mi son detto – quel giornale non è poi così letto come si fa credere. Forse quel giorno, per una coincidenza malandrina, l’articolo, pur così importante, era stato notato solo da pochi e superfi-ciali lettori, magari già convinti delle virtù terapeutiche della fede. O forse, molto semplicemente, subito dopo l’articolo, sarebbe stato da pensare a degli spot pubblicitari di lancio. Ecco. Era un’idea.

UN PREZIOSO RICORDO DEL PARROCO DI BELSITO

Mentre stavo già augurandomi che qualche agenzia pubblicitaria cominciasse a pensarci per conto del Vaticano, ne parlai con il mio amico, il solito parroco di Belsito, e questi si mise a ridere; «Non ti ricordi quel predicatore degli Esercizi spirituali in Seminario che ci diceva: “Ragazzi, mi raccomando: Se volete star bene sempre nella vostra pelle, non cercate le consolazioni di Dio, ma cercate il Dio delle consolazioni. È S.Teresa d’Avila che ce lo suggerisce, una che se ne intende. Solo così, nell’amare Dio per se stesso e non per interesse, si è veramente consolati e si comincia a star bene sul serio”». Non vi sembra che sia il caso di lasciar perdere la religione praticata come un tranquillante? Proviamo a fare come i pastori di Natale: «Andiamo a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». Quei poveretti, – se ci pensiamo – tornando dalla grotta, avevano ancora i malanni di quand’erano arrivati, non avevano chiesto niente, avevano guardato, avevano visto. Tornavano a casa contenti e lodavano Dio per aver visto coi loro occhi il Salvatore che era stato annunciato loro dagli angeli. Cominciando da qui sarà un Buon Natale.