Tutti diversi e tutti di corsa verso la meta: c’è un ruolo per ognuno. Grazie rugby!!

Non c’è solo il calendario con mamme, fidanzate e allenatrici (con un pizzico di sensualità e molta ironia) volto a raccogliere fondi per sostenere la squadra – che ha recentemente tenuto banco, finendo anche sulla stampa nazionale. Il Rugby Bergamo, per il sesto anno consecutivo, porta avanti un progetto di sensibilizzazione e di accoglienza all’interno delle sue squadre. 
«Tutto è nato sei anni fa quando il dottor Conte del reparto di neuropsichiatria infantile di Borgo Palazzo ha pensato al Rugby Bergamo come ambiente nel quale inserire ragazzi iperattivi, autistici e con disturbi specifici di apprendimento – racconta Agostino Gotti, direttore dell’area tecnica del club -. Abbiamo accolto di buon grado la proposta e, l’anno successivo, ci siamo impegnati con l’associazione Arché in un progetto per recuperare ragazzi con disagi socio-cognitivi». Ne è risultato che il rugby può essere un strumento terapeutico efficace per questi ragazzi. Il motivo ce lo spiega ancora Gotti: «Nel mondo del rugby questi ragazzi non vengono discriminati o isolati, anzi si allenano con gli altri ragazzi nelle squadre già presenti. In altri sport si inizia, fin dai primi anni, a fare delle selezioni, a classificare i ragazzi. Ma questa è già una discriminazione. Noi li mettiamo tutti insieme, più bravi e meno bravi – e prosegue – i ragazzi con problemi socio-cognitivi vengono qua pensando che verranno ancora discriminati. Si accorgono subito che non è così perché la filosofia del rugby è quella di accogliere tutti, indistintamente e ognuno ha il suo compito, sul campo e fuori». 
Come nasce questa filosofia dell’accoglienza? «Io sono un insegnante – risponde Gotti – e quello che non faccio mai è usare la solita frase che si usa in questi casi: “siamo tutti uguali”. Non è vero, siamo tutti diversi, per fortuna. Faccio un esempio: nel rugby ci sono quindici ruoli diversi e ognuno va in base alle caratteristiche di chi lo ricopre, ci può essere il ragazzo più robusto e quello meno robusto. Per ognuno c’è un ruolo. Bisogna far capire, fin dai primi anni, che i preconcetti sono sbagliati e tutti possono ritagliarsi il loro ruolo».