Informatici senza frontiere: al lavoro contro il digital divide

«L’informatica sta diventando un bene primario e tutti quelli che non ne hanno accesso verranno sempre più esclusi dalla vita sociale e pubblica. La nostra missione è combattere il “digital divide”, il divario esistente tra chi ha un effettivo accesso alle tecnologie dell’informazione e chi ne è escluso in modo parziale o totale. Questo penalizza già adesso, anche se non sempre ce ne rendiamo conto, parte della popolazione italiana e molti dei paesi in via di sviluppo. Noi cerchiamo di far superare questo divario impegnandoci al nostro meglio». Dino Maurizio presidente di Informatici senza Frontiere (www.informaticisenzafrontiere.org), ONLUS nata alla fine del 2005 per iniziativa di un gruppo di manager, chiarisce la funzione pratica dell’organizzazione no profit, che «utilizza le competenze informatiche per aiutare i soggetti più deboli, in Italia e nel resto del mondo».

La Onlus si “fonda sui valori del rispetto della dignità umana e della solidarietà e fa delle parole inclusione e sviluppo il proprio credo”. Cosa vuol dire in concreto?
«L’informatica ha due caratteristiche per noi importanti. La prima rappresentata dal fatto che la nostra vita è, e sempre più sarà, permeata e dipendente dall’informatica, con la conseguenza che chi, per le più svariate ragioni, non riesce a destreggiarsi all’interno di questo campo diventerà un emarginato digitale, e alla fine un escluso sociale. Esempio ne sono le persone più anziane, spesso in difficoltà con i bancomat, gli smartphone o i servizi pensionistici/sanitari erogati via internet. Di conseguenza, tutta la popolazione, non solo nei paesi in via di sviluppo ma anche in Italia, che si trova in qualche condizione di disagio (poveri, disabili, carcerati) subisce un doppio isolamento: quello dovuto al loro stato e quello determinato dall’analfabetismo tecnologico. Ecco quindi che se riusciamo a dare a queste persone le conoscenze di base per usare il computer e internet, diamo loro uno strumento per inserirsi più facilmente nella vita pubblica e sociale. La seconda caratteristica è legata all’innovazione: non esiste innovazione di alcun tipo senza il contributo fondamentale dell’informatica. Noi, proprio sviluppando soluzioni tecnologiche innovative siamo riusciti a costruire dei sistemi a basso costo per aiutare individui diversamente abili, e i bassi costi consentono di raggiungere un maggiore numero di persone. Ad esempio, il nostro sistema, denominato STRILLONE, per aiutare gli ipovedenti a leggeri i quotidiani attraverso uno smartphone, e che è stato finalista al premio internazionale ONU la scorsa primavera, è una app innovativa che abbiamo messo a disposizione in modo gratuito».

Il vostro lavoro si basa esclusivamente sulla collaborazione dei volontari?
«Noi siamo presenti in Italia con circa trecento soci distribuiti in una decina di regioni; sono questi volontari che dedicano il loro tempo libero e spesso anche le loro ferie alla realizzazione di quasi tutti i nostri progetti; soltanto nei progetti di cooperazione internazionale, dove gli impegni sono continuativi e ci sono precise scadenze da rispettare, operano anche alcuni professionisti retribuiti».

Come operate sul territorio, c’è una sezione anche in Lombardia, se sì di cosa si occupa?
«Riguardo al modo di operare, noi cerchiamo di utilizzare i soci il più possibile in ambito locale per tutti quei progetti che hanno esigenze e si rivolgono a una popolazione locale. Alcuni esempi sono i corsi che teniamo nelle carceri, nelle comunità di recupero dei tossicodipendenti, nelle comunità di assistenza ai disabili; mentre utilizziamo tutti i soci, ovunque si trovino, quando ci servono competenze specifiche e quando i progetti hanno una valenza generale, come per esempio per la realizzazione delle applicazioni destinate agli ospedali africani, o per realizzare ausili per disabili. In Lombardia abbiamo una sezione molto attiva, ed è attiva in tutte le nostre aree d’intervento: formazione, paesi in via di sviluppo, disabilità».

È vero che attivate corsi di alfabetizzazione informatica recuperando computer dismessi dalle aziende?
«L’abbiamo fatto molte volte; tale opportunità se, da un lato, consente di prolungare utilmente la vita della tecnologia, dall’altro lato, penalizza a volte i destinatari stessi di questa tecnologia diventando presto obsoleta. In sostanza, cerchiamo di decidere caso per caso e in dipendenza dei costi che di volta in volta siamo in grado di sostenere».

Curate progetti d’informatizzazione in Paesi in via di sviluppo?
«Abbiamo fatto e siamo attivi con diversi progetti nei paesi in via di sviluppo, specialmente nell’Africa subsahariana. In questi paesi operiamo costruendo aule informatiche e insegnando a ragazzi e formando insegnanti (Sud Sudan, Mali, Uganda, Congo, ecc…). Operiamo in decine di comunità presso ospedali o enti pubblici (Uganda, Etiopia, Afghanistan, Somaliland, Tanzania, etc.) dove abbiamo realizzato applicazioni per la gestione informatica degli stessi».

Per Papa Francesco il web “è diventato una sorta di ambiente di vita, per risvegliare le domande insopprimibili del cuore sul senso dell’esistenza”, soprattutto per i giovani, però sottolinea anche come “non è sufficiente acquisire competenze tecnologiche, pur importanti. Si tratta anzitutto di incontrare donne e uomini reali, spesso feriti o smarriti, per offrire loro vere ragioni di speranza”. “Internet non basta, la tecnologia non è sufficiente”. Desidera commentare le frasi del Pontefice?
«La tecnologia, così come ogni disciplina scientifica, è soltanto un mezzo che può aiutarci, poi l’utilizzo di questa tecnologia dipende dall’uomo, può farne buon uso per costruire un mondo migliore, o può sprecare tale risorsa cercando l’interesse personale o addirittura la sopraffazione degli altri. Io devo solo dire che, all’interno della nostra organizzazione ho trovato tantissimi giovani, e meno giovani, con un grandissimo spirito di solidarietà e di fratellanza, e che proprio questo spirito ci da la forza di affrontare le sfide più difficili per portare un aiuto concreto a chi è meno fortunato».