Il nuovo presidente della Repubblica: “Con gli equilibri di oggi, non deve più fare l’arbitro”

Proprio in queste ore è in atto l’elezione del presidente della Repubblica. Negli ultimi giorni si è accesa la discussione sui nomi dei possibili candidati. Ma oggi qual è il ruolo del presidente in Italia? Gli italiani si fidano? Quali sono gli equilibri in gioco? Ne parliamo nella seconda parte dell’intervista con Nando Pagnoncelli, sondaggista e amministratore delegato di Ipsos Italia, sugli italiani e la fiducia nelle istituzioni.Potete leggere la prima parte qui

Gli italiani e il presidente della Repubblica. C’è un rapporto di amore-odio con questa figura…
“Abbiamo avuto nel recente passato due presidenti, Ciampi e Napolitano (nel primo mandato) che avevano livelli di fiducia altissimi, fino al 70-80 anche 85%. Quando Napolitano ha accettato il secondo mandato, in un momento di grave impasse, è stata una sorta di svolta liberatoria: non si riusciva a eleggere un nuovo presidente, non si riusciva a formare un nuovo governo. In quel momento l’Italia era tutta con Napolitano. Poi alcuni fatti modificano il quadro: primo tra tutti la sentenza di condanna definitiva di Berlusconi per la vicenda dei diritti Mediaset. In una parte importante di elettorato c’era un’aspettativa di grazia. Ma non è stata concessa, e questo ha portato a perdere, in questa parte di elettorato, una parte della fiducia. Il Movimento cinque stelle poi, in quel momento seconda forza del Paese, ha manifestato ostilità verso il presidente della Repubblica. Esemplare la gaffes fatta via Twitter quando è morto Giorgio Faletti e una esponente del movimento ha scritto: “E’ morto il Giorgio sbagliato”. E’ il segno di un rapporto molto difficile, con un ampio bacino elettorale che non esprime fiducia. Poi si è aperta la nuova stagione politica, con il governo di Renzi”.
Che cosa è cambiato?
“Ciampi e Napolitano rappresentavano il garante in un Paese politicamente diviso da una dialettica accesa, muscolare, aggressiva tra destra e sinistra. Gli elettori “tifosi” di entrambe le parti riconoscevano questo ruolo al presidente di garante dello spirito della Costituzione. Ma con la crescita di un governo diverso rispetto al passato, trasversale, dagli ampi consensi, è come se venisse meno questo forte bisogno di un garante. Si indebolisce l’aspettativa verso questa figura”.
Guardando i dati dei sondaggi sulla fiducia degli italiani nelle istituzioni quello su Papa Francesco, in controtendenza rispetto a tutti gli altri, con un livello altissimo di consensi già dice come una figura di spessore e di carisma alla guida di un’istituzione possa cambiare completamente gli equilibri. Che ne pensa?
“Certamente è un dato importante, anche se bisogna poi vedere, nel caso specifico, se all’interno del mondo cattolico questa figura straordinaria è in grado di modificare concretamente i comportamenti. Il rischio vero è che il Papa, investito di questa grande popolarità, si trasformi in una sorta di icona pop, ammirata da tutti ma il cui messaggio rischia di scivolare addosso alle persone. Due esempi importanti. Quando il Papa va Lampedusa suscita un’emozione fortissima. Ma in un sondaggio che abbiamo condotto solo due giorni dopo è emerso che gli italiani non erano molto disponibili all’accoglienza, piuttosto erano favorevoli ai respingimenti. E tra i cattolici la percentuale di persone che avevano questa posizione di rifiuto era addirittura più elevata rispetto al mondo non cattolico. Non è esattamente il messaggio di Papa Francesco. Ma bisogna dire che il tema dell’immigrazione genera paura e comportamenti difensivi soprattutto tra le persone più esposte agli allarmi sociali: e tra esse per esempio le persone meno scolarizzate e gli anziani, fra i quali la percentuale dei cattolici è più elevata. Esempio diverso è il consenso maggioritario, quasi plebiscitario ottenuto dalle aperture del Sinodo straordinario sulla famiglia e che riguardavano in particolare i diritti delle coppie e la comunione ai divorziati. C’è stato un grandissimo successo per queste posizioni. È vero che Francesco sta scuotendo le coscienze. Ma c’è il rischio che ci si limiti all’ammirazione, alla stima per ciò che fa e dice per la sua testimonianza non segua altrettanta cura nel metterlo in atto. Il messaggio evangelico, insomma, sembra conformare poco il comportamento dei credenti. Torniamo al tema della Chiesa fai-da-te: prendo del messaggio solo ciò che è più vicino al mio stile di vita”.
In questo contesto come vede l’impegno in politica dei cattolici? E in generale la disposizione a mettersi in gioco attivamente in quest’ambito?
“Abbiamo bisogno di un periodo lungo di cambiamento. Non possiamo aspettarci che quello che è successo negli ultimi due-tre anni modifichi subito i comportamenti. Il movimento Cinque Stelle ha fatto della partecipazione dei cittadini un punto di forza ma non è detto che gli altri partiti siano capaci di suscitare altrettanti comportamenti di partecipazione attiva dei cittadini. Sicuramente la politica è in una situazione molto difficile anche per la mancanza di risorse economiche che si stanno riducendo sia a livello di amministrazione pubblica sia di partiti. Ci si domanda: perché un giovane deve impegnarsi in politica o diventare amministratore pubblico se le risorse sono sempre di meno e le domande dei cittadini sono sempre di più? Da qui nasce l’esigenza di non riferirsi più alla politica soltanto come gestione dei servizi, ma tornare a darle il suo significato originario: progettazione del futuro, costruzione della città ispirata a valori. Ecco quindi che c’è una dimensione di generosità che presuppone però un senso di appartenenza e di identità, di ancoraggi comuni ciò che rende uguali le persone che si sentono parte di un tutto, la stessa regione e lo stesso paese”.
E in questo momento manca un’identità collettiva?
“Infatti, ed è questo l’aspetto più debole. Ma senza un’identità collettiva la società diventa molecolare, prevalgono gli interessi individuali. La vera sfida per il nostro Paese oggi è provare trovare un equilibrio tra interessi generali e individuali, legittime aspettative individuali e bisogni collettivi. Bisogna affrontare questo nodo, che vuol dire anche fare rinunce individuali, fermare i propri bisogni e aspettative dove incominciano quelli degli altri in nome di un bene più grande, di cui beneficiano tutti. Ma non sono cose nuove: ce le diceva già Toqueville ne “La democrazia in America”. Bisogna ripartire da lì, dal senso di appartenenza, dall’identità, dalla partecipazione, dall’impegno a fare i propri interessi come cittadino. Certo si tratta di processi lunghi, richiedono tempo. Sono sui banchi di scuola oggi quelli che cambieranno il Paese, dobbiamo essere consapevoli di questo”.

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