«Portate l’abbraccio di Dio»: la vita consacrata umanizzi il mondo con la tenerezza

Oggi, lunedì 2 febbraio, anche nella nostra diocesi si ricorda la Giornata Mondiale per la Vita Consacrata. Alle 17.30 è previsto il ritrovo al monastero S. Grata in Città Alta a cui seguirà alle ore 18 la celebrazione eucaristica in Duomo, presieduta da S. E. Mons. Francesco Beschi. Le offerte raccolte verranno devolute alla carità del Vescovo.

“Portate l’abbraccio di Dio” è il titolo del messaggio del Consiglio permanente della Cei per la 19ª Giornata mondiale della vita consacrata, che riprende la Lettera di Papa Francesco a tutti i consacrati. Un messaggio, quello dei vescovi italiani, che piace a madre Diana Papa, abbadessa del monastero delle clarisse di Otranto, per il suo “ampio respiro” e per “lo stimolo che offre a tutti i consacrati”.

I vescovi dicono che uno sguardo aperto che non esclude nessuno contraddistingue chi mette la propria vita nelle mani di Dio. Madre Diana, quanto è difficile mantenere oggi uno sguardo così?
“Bisogna andare oltre allo scrutare la storia e acquisire una visione contemplativa della vita, perché è questo che ci aiuta a ‘intus legere’, non solo con la facoltà della ragione, ma coniugando la ragione con la fede. Questo è il compito nostro: rendere visibile la presenza di Dio in ogni persona, a partire da se stessi, negli avvenimenti, in ogni momento della storia”.

Il Papa e, con lui, i vescovi dicono che dove ci sono i religiosi c’è gioia: come potete aiutare le persone a non lasciarsi travolgere da stanchezza e delusione?
“Parlerei di due livelli. Il primo è quello di noi consacrati, che dobbiamo riscoprire la bellezza della vita, nella quotidianità. Abbiamo disincarnato troppo l’esistenza e abbiamo rischiato di rendere la nostra vita di fede un intimismo, cioè un atteggiamento di ripiegamento su noi stessi. Poi, bisogna lavorare molto, a livello di consacrati, sulle relazioni mature, ma tutto questo può essere possibile se chiediamo, ogni giorno, il dono della fede. Quando abbiamo sperimentato l’abbraccio di Dio, lo portiamo agli altri, non nell’attesa di avere le persone simili a noi, ma accogliendole così come sono, anche rallentando i passi. Noi siamo fatti di creta, a volte lo dimentichiamo. Allora, mettersi accanto alle persone significa dire a tutti gli altri: noi siamo nella stessa barca come voi, solo che facciamo memoria dell’abbraccio di Dio”.

I vescovi dicono di avere grande fiducia nei consacrati. È una bella responsabilità…
“Noi facciamo parte del popolo di Dio. Siamo stati chiamati a rendere visibili le promesse battesimali vissute nella quotidianità, senza fare niente di straordinario, ma vivendo nella pienezza dell’umanità, come Cristo incarnato. Non dobbiamo inventarci nulla. Noi ringraziamo i vescovi per la fiducia: è necessario, però, che scopriamo la bellezza della sinergia all’interno del popolo di Dio. Ognuno ha il suo compito, l’uno non esclude l’altro: ad esempio, sono convinta che le famiglie ci trasmettono e ci rendono visibile la tenerezza dell’amore trinitario e noi alle famiglie comunichiamo che nessuno deve rendere l’altro il suo idolo. C’è uno scambio meraviglioso e ci si aiuta in modo unico: quando le coppie vengono a confrontarsi con noi sentono che c’è una relazione molto profonda con il Signore Risorto, che per noi è veramente una persona. Di conseguenza, tutto il cammino di relazione con il Signore si rende visibile anche nel rapporto di coppia. Diventiamo, così, ‘icone’ gli uni per gli altri”.

I consacrati quanto possono contribuire a disegnare il “nuovo umanesimo” cristiano?
“Bisogna presentare la persona in modo integrale. C’è un livello biologico, psicologico e spirituale. Spesso abbiamo favorito un livello piuttosto che un altro. Il cammino delle monache, mai come oggi, si profila nella misura in cui presenta la persona nella totalità e, nello stesso tempo, accoglie gli altri anche nelle periferie esistenziali. Tante volte le persone vengono in monastero non per cercare Dio, ma per essere accolte come persone. Ma se noi monache non abbiamo questa consapevolezza della bellezza dell’umanità, come possiamo ascoltare l’altro che è in ricerca della sua umanità? Quindi, l’impegno da parte nostra come monache è avere la consapevolezza dell’umanità che ci è stata regalata gratuitamente”.

Quali frutti si aspetta dall’Anno della vita consacrata?
“Prima di tutto, non deve essere un’autocelebrazione, ma una memoria di quello che abbiamo ricevuto in dono. In quest’Anno possiamo rivisitare la gratuità della chiamata di Dio; rifondare i consigli evangelici con la Parola di Dio, in ascolto del magistero e della storia degli uomini e delle donne di oggi; curare la vita spirituale, compito non solo nostro, ma di tutti i battezzati; acquisire uno stile contemplativo per rendere visibile la dimensione evangelica della vita; osservare il Vangelo; essere profetici, ponendoci accanto agli altri, senza sentirci migliori o peggiori, e riscoprendo la bellezza della chiamata”.

Qual è il ruolo della donna consacrata oggi?
“Deve avere, innanzitutto, la consapevolezza di sé come donna, non in antagonismo all’uomo, ma nella propria peculiarità. Insieme possiamo costruire un mondo migliore, portando ognuno il proprio contributo. È una donna che ha una visione panoramica della realtà, ma attenta anche al frammento, che sa aspettare i tempi della maturazione, è lungimirante, soprattutto che umanizza la terra attraverso la tenerezza. La dimensione di dono, di gratuità, di gratitudine: questo dovrebbe essere la missione della donna consacrata nella Chiesa e nel mondo”.

“Portate l’abbraccio di Dio” ha molti spunti interessanti. Cosa le è piaciuto in particolare?
“Il messaggio dei vescovi ha un ampio respiro, sulla linea tracciata da Papa Francesco, e questo mi piace molto. È importante questa possibilità di ricerca: noi non siamo persone già fatte; sino alla fine della vita siamo persone che sono chiamate a progettarsi in modo inedito con il Signore. Allora, ringrazio i vescovi per questo messaggio perché ci hanno dato uno stimolo ulteriore, oltre a quello del Papa, a essere persone secondo il cuore di Dio”.