«Ho chiesto a Gesù di non lasciarmi mai più sola. E lui mi ha accontentata»

«Era Capodanno. Allora vivevo in un piccolo appartamento pieno di tante, troppe persone. Mio marito era fuori per lavoro, gli altri per divertirsi. Ero rimasta soltanto io, e sentivo dentro di me una solitudine ancora più profonda. Piangevo, e a un certo punto le lacrime sono diventate una preghiera a Gesù perché non mi lasciasse più essere così sola. Che cosa ti ho fatto? Dicevo, e piangevo. Solo pochi giorni dopo, il 6 gennaio, ho scoperto di essere incinta». Così per Juana, che vive nella parrocchia del Villaggio degli Sposi a Bergamo, è sbocciato il desiderio di diventare cristiana: con la maternità, che è arrivata per lei come un mistero e un dono inaspettato.
«I miei genitori – racconta – sono testimoni di Geova, ma hanno da sempre deciso di lasciare me e i miei fratelli liberi di scegliere. Mio padre anni fa si è convertito ed è diventato cattolico, ma anche allora non ha fatto pressione su di noi. Ma c’è nel nostro Paese, nella nostra tradizione, una profonda devozione alla Madonna, e se scavo nei miei ricordi anche nel mio cuore c’è sempre stata». È stata comunque la fede a sostenerla quando ha fatto il “grande passo” e dalla campagna di Potosì, in Bolivia, ha deciso di partire e di seguire il fidanzato che già lavorava in Italia: «Avevo capito che per me non c’era futuro: mi ero laureata ma non riuscivo a trovare un’occupazione. Avevo molta paura, all’inizio. Non ero ancora sposata, non sapevo se Marco era davvero l’uomo giusto per me, e sapevo che mi sarei trovata in una realtà completamente diversa da quella a cui ero abituata». Anche in quel momento la fede però l’ha sostenuta. «Da quando è arrivato Gabriel non mi sono mai più sentita sola – racconta Juana -. E forse non è un caso che lui sia così religioso. Anche Marco è cattolico e abbiamo battezzato il bambino, l’abbiamo cresciuto nella fede cristiana. Lui fin da piccolo voleva che lo portassi a Messa tutte le domeniche, mi chiedeva di poter fare il chierichetto. A volte giocava con me facendo finta di essere il parroco per darmi la comunione. E quando io gli dicevo che non potevo, e che gli avrei spiegato perché un giorno o l’altro, mi sorrideva e mi diceva: quando farai la comunione io ti terrò la mano».
Così Juana ha iniziato il suo cammino di catecumenato: «È già il secondo anno ma il tempo è volato – dice con un sorriso -. Sono contenta di aver avuto la possibilità di ricevere da adulta il dono del battesimo: sicuramente adesso sono più consapevole, lo apprezzo di più. La fede mi completa, è il pezzo che mi mancava. Con l’aiuto della mia catechista Maria Carla ho scoperto molte cose. Abbiamo letto il Vangelo e la Bibbia, e per me è stato molto importante, ma ho fatto anche molte scoperte concrete: sento di studiare quello che sto vivendo nelle relazioni. Cerco soprattutto di impegnarmi a essere cristiana ogni giorno nelle cose che dico e che faccio. Mi hanno fatto da esempio alcune famiglie che vivono nella mia comunità e in particolare una persona, Sara, che è diventata come una sorella per me. Ammiro il suo modo di vivere e cerco di essere come lei. Anche per questo l’ho scelta come mia madrina: fin dall’inizio mi ha fatto sentire accolta. E così il parroco, don Patrizio, e prima di lui don Achille, che si fermava ogni tanto a chiacchierare con me con grande gentilezza e anche questo per me era un segno, una chiamata. Adesso aspetto con grande emozione il momento in cui riceverò i sacramenti».
Juana lavora in una residenza per anziani a Dalmine, ma ha scelto anche di impegnarsi attivamente nelle attività parrocchiali: «A qualcuno pesa, a me no, sono davvero felice di rendermi utile. In passato mi è capitato di occuparmi dei chierichetti, o di dare una mano quando c’era bisogno. Faccio parte del coro, e adesso sono entrata in un gruppo nuovo che si dedicherà alle persone anziane della parrocchia. D’estate, poi, da due anni accogliamo in casa nostra un bambino bielorusso. Anche questa è una bellissima esperienza, anche in questo, accogliere un piccolo in difficoltà, vedo un modo di affidarsi a Dio».
Anche il marito Marco non aveva mai forzato Juana a compiere questo cammino: «Ora però è molto contento per me, mi aiuta e mi appoggia in tutte le mie decisioni. Frequentiamo la parrocchia insieme». Juana nel suo lavoro è tutti giorni a contatto con la sofferenza e con la morte: «Alcuni degli anziani che incontro restano nella casa di riposo solo per pochi giorni, o per qualche mese, e spesso sanno che non torneranno più a casa. Per me è importante offrire loro un conforto, aiutarli a stare bene, al di là di tutto. Ho amato molto mio nonno ed è il suo volto che vedo in ognuno di loro, specialmente nei più burberi, in quelli che resistono a ogni aiuto e confidenza. Anche in questo lavoro delicato la fede mi sostiene: mi fa capire come la morte sia parte della vita, e come tale da accettare quando arriva. Mi fa sentire ancora di più il valore di ogni giorno che trascorro con i miei cari, l’importanza di amarli e di non dimenticare mai di dire “ti voglio bene”».