Sì, viaggiare…Ma è uno slalom tra i controlli. L’Europa ha paura

L’Europa è sotto assedio. I diritti fondamentali – fra cui quello di espressione e la libertà religiosa – sono minacciati. Viaggiare è più complicato. I cittadini si sentono insicuri, magari talvolta con qualche esagerazione montata ad arte con la complicità di politici border line e di media compiacenti. Resta il fatto che gli echi di guerra provenienti da Ucraina, Libia, Medio oriente, gli attentati di Parigi e Bruxelles, le pressioni migratorie ai confini del Vecchio continente hanno messo tutti in allarme. E tutti rischiano di farne le spese. Come è accaduto nei giorni scorsi a un giornalista-pendolare di lunga gittata…Abituato a viaggiare molto.
Pellegrinaggi europei. Il momento è oggettivamente delicato e dunque le istituzioni cercano una risposta politica ai conflitti e per la sicurezza interna, le forze di polizia e l’intelligence fanno del loro meglio; intanto la gente comune si guarda le spalle quando prende la metropolitana o se al mercato viene affiancata da qualcuno con un diverso colore della pelle. Sospetti pur comprensibili e xenofobia latente possono fare il resto. Ebbene, nei miei pellegrinaggi europei per raccontare ai lettori del Sir quanto accade nelle istituzioni Ue, nelle ultime due settimane sono stato preso di mira, per ragioni di sicurezza, dalle forze dell’ordine o da militari armati di tutto punto prima a Bruxelles (passeggiando per strada), poi a Milano (aeroporto Malpensa), di seguito a Basilea (stazione ferroviaria), infine dalle parti di Colmar (su un treno francese).
Driiin, driiin. Forse la cosa più simpatica mi è capitata proprio nella capitale belga, davanti all’ambasciata di un importante Paese balcanico. Mentre camminavo con il consueto zainetto nero sulle spalle (computer, agenda, carte varie, astuccio e merenda), mi squilla il telefono in prossimità dell’ingresso dell’ambasciata. Metto mano all’interno del giubbotto, destando evidentemente i sospetti degli agenti di guardia. Un po’ minacciosamente mi si affiancano due soldatoni con tanto di elmo e mitra spianato. Vai a spiegare – tenendo conto delle differenze linguistiche – che stavi solo rispondendo a una chiamata della moglie… Più semplice, invece, “farla franca” di lì a poco nelle sedi della Commissione e del Parlamento Ue. Certo, i controlli vanno da cima a fondo, ma non manca l’addetto sorridente: “Lei – dice – ha la faccia tranquilla”. Meglio di niente!
Parole a sproposito. Qualche volta, poi, sarebbe opportuno seguire la regola di “un buon silenzio…”. Sono all’aeroporto milanese, scalo della Malpensa, in attesa di un volo verso la mitteleuropa. Sfoglio un giornale mentre sono in fila per passare il controllo di sicurezza. Mi faccio scappare con la vicina un commento poco pensato: “Se sali su un aereo con cento passeggeri ti passano al setaccio. Non sfugge niente: valigia, pc, cellulare, cintura dei pantaloni e scarpe. Liquidi e simili sono vietati, mica che in volo ti metti a fabbricare una bomba. Invece se prendi un treno, con altri 500 viaggiatori, nessuno ti controlla, potresti portar su anche un arsenale”. Il colloquio non sfugge a un agente in divisa: segue interrogatorio dai toni un po’ spigolosi. Me lo son cercato…
Il colore della pelle. Un tragitto in treno Milano-Strasburgo deve passare per Briga, Berna, Basilea e Colmar prima di giungere al capoluogo alsaziano. A Basilea la verifica dei documenti non manca: cordiale, quasi sbrigativa. Più che altro una routine. Evidentemente gli svizzeri si sentono esenti dalla cronaca di questi giorni. Una volta in carrozza si passa sotto giurisdizione francese. Sono seduto su un treno pendolari; accanto a me una persona di colore. La polizia percorre tutti i vagoni e, giunti davanti a noi, intima: “Sono vostre le valigie?”. “Sì – azzardo in francese -, sono mie. Ci sono vestiti e libri”. Devo essere stato convincente, perché non segue alcun controllo. Ma l’attenzione cade sul mio vicino: documenti, una raffica di domande, infine gli intimano: “Apra la valigia”. Finisce tutto in mostra: camicie e calzini, rasoio e un formaggio, una piccola maschera in legno, un taccuino, pantaloni, un cadeau incartato, un paio di asciugamani. Il differente trattamento non sfugge ai passeggeri, ma nessuno borbotta. L’uomo, che si rivela ivoriano, commenta: “È normale, ci sono abituato”. Aggiungo: “Forse le bombe nere fanno più paura di quelle bianche”. L’uomo sorride. “Viva la sicurezza – concludo – ma cum grano salis…”.