No alla sfiducia: l’Italia impari a valorizzare ciò che ha di bello

No alla sfiducia: per rompere il circolo di negatività in cui l’Italia sembra chiusa, bisogna trovare un modo per valorizzare ciò che di positivo si sta facendo. E’ la strada che indica Nando Pagnoncelli, sondaggista e amministratore delegato di Ipsos Italia,  nella terza parte dell’intervista sugli italiani e la fiducia nelle istituzioni. Trovate la seconda parte qui e la prima qui.

“Il governo – spiega Pagnoncelli – si è insediato un anno fa circa a febbraio ha alimentato aspettative elevatissime di cambiamento. E’ riuscito nella prima parte, la cosiddetta “luna di miele” a garantirsi un consenso elevato, ma poi come accade del resto non solo in Italia, ma in tutta Europa è entrato in una fase di calo. Altrove però la fiducia risale nell’ultima parte del mandato. Da noi in Italia si alimenta l’aspettativa, poi il consenso cala e di solito non si riprende più. Tutti i governi della seconda Repubblica alle elezioni successive hanno perso. E’ accaduto anche con il governo Monti, che presentandosi poi alle elezioni ha ottenuto risultati inferiori alle aspettative, e a Letta, anche lui partito con un consenso alto. A dicembre 2013 le primarie del Pd hanno aperto una stagione nuova, i cittadini guardavano con interesse a un cambio politico e per Renzi c’è stata una crescita di consenso che arriva all’apice dopo le europee del 2014 con il Pd che tocca il 70% di fiducia, ma poi entra comunque in crisi”.

Quali carte si gioca questo governo?
“Questo è un governo che fa segnare un momento di cambiamento profondo, generazionale e non solo, usa un linguaggio diverso, fa riferimento al pd centrosinistra ma raggruppa anche formazioni centriste, il nuovo centrodestra. Raggruppa aspettative in futuro diverso. Fa subito qualcosa di molto concreto mettendo 80 euro nelle tasche di molti cittadini. Mette in agenda riforma del senato, legge elettorale. Simbolicamente dà il messaggio che si può cambiare. Ma da settembre in poi c’è una diminuzione progressiva. La fiducia nel governo secondo gli ultimi dati sono intorno al 48% toccano comunque uno su due, non bassi rispetto a governi precedenti, ma colpisce la flessione”.

Perché?
“Bisogna partire dal presupposto che un consenso così alto viene garantito da una grande trasversalità. Eravamo abituati ad avere governi molto apprezzati dal proprio elettorato e avversate da quello avversario. Fatto 100 quelli che hanno votato Pd il 25 di maggio il 40 per cento viene da fuori, da altri partiti anche dal pdl, da Scelta Civica, dalla lega e da Grillo, delusi dal movimento. Questa trasversalità è un elemento nuovo e inedito e sfida renzi a fare sintesi di elettorati compositi, non coesi. E portatore di valori, interesse e aspettative diverse”.

E’ il ritorno a un grande centro?
“Lo vedo più come un ritorno a un partito che la politologia chiama catch all, piglia tutti, e che però rappresenta un dato che ci richiama per certi versi la democrazia cristiana della prima repubblica, un partito interclassista che teneva insieme gli intellettuali e gli imprenditori”.

E quali sono i motivi che hanno mandato in crisi una parte degli elettori di Renzi?
“Sullo sfondo c’è la crisi economica che sta cambiando i comportamenti, gli stili e il tenore di vita delle persone. La prospettiva negativa del nostro Paese modifica i giudizi rispetto alle istituzioni e i governi. Il consenso cala tra disoccupati, tra i ceti più popolari, le piccole imprese, i lavoratori autonomi, i commercianti, gli artigiani, le casalinghe che guardavano a Renzi come portatore di cambiamento. Questa dunque è una fase delicata perché in assenza di un processo di crescita economica queste persone che avevano tradito il bacino elettorale di provenienza si sentono in difficoltà e ritirano la fiducia”.

La crisi di fiducia, però, non riguarda solo la politica, ma la rappresentanza in generale…
“La crisi della rappresentanza è segno di una mancanza da un lato e di rifiuto dall’altro. La gente preferisce fare da sé. Mette in discussione tutto, anche le competenze degli altri. Internet da questo punto di vista purtroppo è un detonatore, è un grande spazio libero in cui si ospitano le opinioni di tutti, mette in discussione continuamente l’altro, la sua competenza. Un sacco di persone si fanno addirittura autodiagnosi per la salute attraverso internet perché non si fidano del proprio medico ma senza avere gli strumenti per capire se una cosa è vera o no”.

E le conseguenze?
“Questo porta a un’orizzontalità dei rapporti, a un rifiuto del rapporto verticale, al proliferare delle dietrologie, al sospetto permanente. È difficile riassegnare valore alla politica se non si torna ai fondamentali, che significa informarsi in modo corretto, quindi non limitarsi a recepire in modo passivo la notizia che arriva. E neppure selezionare l’informazione parziale che ci interessa perdendo di vista il contesto, come accade di frequente sul web. La rete è uno specchio deformante che confonde la parte con il tutto. Purtroppo si confondono anche i personaggi delle istituzioni”.

Qual è dunque il ruolo del web?
“Spesso diventa uno sfogatoio, dove si dà spazio alla rabbia, al livore. Tutti sottovalutano questo aspetto. Ci sono anche notizie positive, ma chi è in grado di discernere, di distinguere? La rete è una straordinaria opportunità ma se usata male rischia di alterare le regole del gioco democratico. I Cinque stelle, per esempio, hanno promosso un sistema di partecipazione che peraltro non è una cosa nuova: si faceva anche nell’antica Grecia, nella democrazia ateniese, Pericle l’ha sperimentato prima di loro. Ma i numeri nelle consultazioni spesso sono ridicoli. E questo diventa un elemento distorsivo nella percezione, come del resto molti altri”.

In che senso?
“Abbiamo fatto recentemente una ricerca sulle percezioni dei cittadini in 14 Paesi ed è emersa una notevolissima differenza tra dato reale e percepito. Gli immigrati, per esempio, sono il 7% ma i cittadini percepiscono e ritengono che siano il 30%. Un altro dato significativo: prima dell’attentato di parigi è uscito un rapporto Caritas che dice che i musulmani in Italia sono circa il 4% ma gli italiani pensano che siano il 20%. I disoccupati sono il 13% ma la percezione diffusa è che siano il 40%. Anche i giornali scrivono che un giovane su due è disoccupato ma non è vero. Molti di questi giovani studiano, è disoccupato solo chi cerca attivamente lavoro e non lo trova. Su 14 Paesi l’italia è quella che ha il tasso di ignoranza più elevato. Vuol dire che le opinioni non sono guidate dai fatti ma solo dalla percezione dei fatti. E i comportamenti sono influenzati dalle idee che le persone hanno in testa”.

Da che cosa dipende?
“La comunicazione e l’informazione hanno un ruolo centrale. La comunicazione ha sempre due vie: c’è chi informa e c’è quello che alla fine recepisce chi è destinatario di questa informazione. Non sempre chi è destinatario ha le competenze adatte per comprendere e interpretare in modo corretto. In Italia il 61% degli adulti ha la licenza elementare o media o addirittura nessuna istruzione. Che competenza vuole che abbia quando parliamo di Spread e Bce? Ma facilmente penserà che l’Europa sia cattiva, questo è il rischio. Su queste cose si gioca la consapevolezza del cittadino. I cittadini oggi sono forse apparentemente più informati ma meno consapevoli. Possono ottenere più informazioni ma superficiali attraverso la televisione (un minuto e mezzo di servizio) e parziali o inesatte su Internet dove è facile cercare solo quello che interessa e perdere di vista il contesto generale”.

Cosa si può fare per cambiare traiettoria?
“Molti temi sempre più complessi richiedono tempo, approfondimento, studio, non tutti sono disponibili. C’è quindi da lavorare sull’aspetto della formazione. Bisogna puntare su questo e sulla valorizzazione di quanto di positivo si sta facendo. Prevale un’immagine cupa e negativa ma non corrisponde in toto alla realtà. L’Italia ha grandi difficoltà e problemi a partire da quello demografico e dall’invecchiamento della popolazione, ma ha anche molti altri aspetti positivi, siamo un Paese manifatturiero, c’è chi continua a crescere e a esportare all’estero, c’è il volontariato che esprime un mondo di legami, partecipazione e di generosità. Non valorizziamo abbastanza le cose che facciamo. Pensiamo al nostro sistema sanitario universalistico, dal secondo dopoguerra tutte le persone possono accedere alle cure di cui hanno bisogno. Obama ha dovuto fare una durissima battaglia in America per ottenere una pallida copia del nostro sistema. Forse ci vorrebbe un cambio di atteggiamento, bisognerebbe guardare con benevolenza alle tante cose belle che caratterizzano il nostro Paese”.