Nicodemo, uomo in ricerca e la morte diventata vittoria sulla morte

Immagine: Cima da Coneglino, Cristo in pietà sostenuto dalla Madonna, Nicodemo e san Giovanni Evangelista con le Marie (Galleria dell’Accademia, Venezia)

In quel tempo, Gesù disse a Nicodemo:  «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna (Vedi Vangelo di Giovanni 3, 14-21. Per leggere i testi liturgici di domenica 15 marzo, quarta di quaresima “B”, clicca qui)

Nicodemo è un uomo molto in vista in Israele. È membro del sinedrio, il “senato” di settanta persone che governa religiosamente e politicamente il paese. Va a fare visita a Gesù di notte, forse per paura dei suoi colleghi del sinedrio. Quando Nicodemo arriva da lui, Gesù lo affronta dicendogli che è necessario nascere di nuovo. Nicodemo, dapprima non capisce: come è possibile questo a un uomo vecchio come lui: deve forse entrare di nuovo nel grembo di sua madre? Gesù gli spiega che la nascita di cui lui parla è una nascita «dall’acqua e dallo Spirito Santo». La nuova nascita, cioè, è un evento che viene da Dio che trasforma da dentro la vita, facendola “ricominciare da capo”.

IL SENSO INATTESO DELLA CROCE

La vita nuova che Dio dona agli uomini prende origine dall’evento centrale della Croce. Gli ebrei conoscono un fatto celebre narrato nel libro dei Numeri. Mentre attraversa il deserto, Israele è assalito da serpenti velenosi. Molti muoiono. Il popolo, per l’ennesima volta, mormora contro Dio. Allora Il Signore dice a Mosè: «Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque, dopo essere stato morso, lo guarderà resterà in vita». Mosè allora fa fondere un serpente di rame e lo colloca sopra un’asta. Quando un serpente morde qualcuno, se questi guarda il serpente di rame, si salva.

Gesù cita questo racconto biblico per spiegare a Nicodemo il senso della nuova nascita, di cui gli ha appena parlato, e l’importanza decisiva della Croce. Anch’egli, Gesù, come il serpente di bronzo nel deserto, sarà innalzato e chi guarderà a lui, chi cioè si rivolgerà e si affiderà a lui, sarà guarito dai suoi mali, liberato dal peccato: sarà salvo. La vita nuova che il Padre dona agli uomini trova dunque la sua sorgente nel Figlio innalzato sulla croce. In lui si rivela mirabilmente l’amore di Dio. «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna». Soltanto, bisogna accogliere quel dono, altrimenti, non toccati, per il nostro rifiuto, dall’amore che ci fa rinascere, si rimane esclusi e giudicati. L’amore di Dio per gli uomini, infatti, è come una luce che li illumina. Bisogna entrare nella luce, uscire dalle nostre ombre e accettare di essere illuminati.

“PHARMACON”: VELENO E MEDICINA INSIEME

Il vangelo ricorda dunque il passaggio del libro dei Numeri: il serpente fa morire quando morde. Mentre, una volta messo, in immagine, in cima al palo, in modo che tutti lo possano vedere, guarisce e fa vivere. Viene in mente la parola greca pharmacon che significa insieme veleno e medicina (oltretutto l’immagine del serpente attorcigliato attorno a un palo è l’immagine che si trova sulle farmacie, il cui nome deriva appunto da pharmacon, veleno-medicina). Gesù diventa “peccato” per noi, dice Paolo: si identifica fino in fondo con il nostro destino di peccatori destinati a morire. Ma, identificato con noi fino alla morte, sconfigge la morte e diventa fonte di vita. Il veleno, la morte, è diventata medicina: una morte che salva.

Stiamo avvicinandoci alla pasqua e Gesù ci viene descritto dalla liturgia come il serpente innalzato. Muore, ma la sua morte è innalzamento e vittoria. Dio risponde al nostro mormorare con un gesto di misericordia: “dà” il Figlio “per noi” e, grazie a questo, le nostre paure e la nostra paura per eccellenza, la morte, diventano salvezza.

LA NOSTRA DEBOLEZZA E LA SUA FORZA

Ancora una volta: spesso noi vogliamo diventare forti annettendoci Dio. Vorremmo che la morte non ci fosse, che i nemici venissero fatti fuori: Dio dovrebbe mostrare i muscoli. Oppure, quando ci troviamo di fronte a lui, ci sembra di aver già fatto tutto quello che dovevamo e facciamo i farisei che sbandierano i loro meriti. Di fronte a lui che ci parla di nuova vita, di rinascita, di vita che viene dall’alto, continuiamo a parlare della nostra, della vita che viene dal basso, così ingombrante per noi che non ci lascia vedere l’altra vita, quella che viene dall’acqua e dallo Spirito.

Vale la pena ricordare, allora, come Nicodemo, così pauroso e reticente in questo vangelo, cambia vita dopo aver incontrato il Signore. Nel capitolo 7 di Giovanni difende Gesù davanti al sinedrio; poi, nel capitolo 19, insieme con Giuseppe di Arimatea, si prende cura del corpo del Signore crocifisso. La storia di Nicodemo, dunque, ci dice che il credente dovrebbe uscire, prima o poi, in un modo o nell’altro, “allo scoperto”. Non possiamo limitarci a essere spesso, troppo spesso, soltanto visitatori notturni del Signore, vergognosi di essere visti e forse impauriti di vedere lui stesso nella sua luminosissima luce.