I social network? Né buoni né cattivi. Oggi sono un posto per missionari

I social network sono “buoni” o “cattivi”? C’è chi li snobba: “Solo stupidaggini”. E chi se ne tiene alla larga: “Sono per i ficcanaso”. Chi invece è entusiasta: “Ci trovo di tutto”. Molti ormai leggono le bacheche invece dei giornali. Uno dei motivi è sicuramente la forte componente di interattività che queste “piazze virtuali” consentono, e la semplicità con la quale possono essere condotte le interazioni: commenti, like e condivisioni. Anche se il tono degli interventi, delle note e dei post spesso non invoglia: “Pieni di livore, negativi, a volte diffamatori”.

La verità, come al solito, sta nel mezzo: i social network non sono in realtà altro che un luogo. Estensioni delle piazze reali, che possono essere utilizzate allo stesso modo. Salvo che non ci si incontra di persona ma davanti a uno schermo, e al posto di immagini e paesaggi ci si ritrova davanti un flusso continuo di contenuti. Il punto, insomma, è sempre quello: che uso ne facciamo.

E ci si può chiedere: se ne può fare un utilizzo pastorale? Può essere anche questo un luogo di annuncio, di incontro, di dialogo, di scambio di contenuti importanti? Certo. Se soltanto Facebook conta almeno un miliardo di utenti, è un segno che ne vale la pena: bisogna essere lì, dove la gente si incontra.
Ma lo stile, i contenuti, le forme di questa presenza rappresentano una sfida continua. Non esistono modi “sicuri” e strumenti consolidati: tutti quelli che ci provano sono, a modo loro, pionieri, un po’ come i missionari che si avventurano in terre straniere. Tutti corrono dei rischi, calcolati o no.
Quello che forse a volte si dimentica è che proprio come quando si va in missione non si può farlo da sprovveduti: bisogna imparare la lingua, il “tono di voce” giusto, le tecniche da adottare.

Osservate le bacheche di oratori, enti, associazioni e movimenti cattolici, sacerdoti e religiosi. C’è chi le utilizza come quelle “cartacee”: posta fotografie, calendari, immagini, foto ricordo, appuntamenti, depliant. C’è chi copia e incolla le prediche della domenica. C’è chi ne posta qualcuna extra, per dire la sua urbi et orbi anche sul web. C’è chi diffonde preghiere, citazioni, stralci di testi come piccole pillole di saggezza, facilmente socializzabili. Solo pochi, però, mettono in atto vere e proprie strategie, si studiano un “piano editoriale”, realizzano progetti che abbiano uno spessore sociale, culturale, pastorale. Eppure: evangelizzatori del web e blogger cattolici si può diventare. Gli esempi felici non mancano. I contenuti di valore, lo dicono anche i “guru” della rete, alla fine vincono.

D’accordo. Capita spesso che gli utenti si facciano offuscare da notizie su siti come “piovegovernoladro” “lercio” e tutti i simili contenitori di gossip che spesso non regalano altro che sensazionalismo gratuito, bufale a profusione, falsi coccodrilli. Capita che a ottenere il maggior numero di like e condivisioni siano giochini, applicazioni, le famigerate fotografie di gatti, orsetti, panda e furetti. Oppure la catena del momento.

Ma che la materia sia innegabilmente seria lo dimostra l’attenzione che da un po’ di tempo a questa parte le riserva il mondo ecclesiale – all’estero ancora un po’ di più che in Italia -. I Social media, per esempio, sono appena stati (la notizia è solo di qualche giorno fa) il focus della seconda giornata della plenaria primaverile della Conferenza episcopale tedesca. La tradizionale mattinata di studio, che i vescovi tedeschi si concedono durante l’assise, aveva come obiettivo proprio le dinamiche dei social network e la loro influenza sulla crescita della nuova comunicazione ecclesiale. Monsignor Paul Tighe, segretario del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali, ha introdotto la “dimensione teologica dei social media”, mentre il professsor Alexander Filipovic, docente di Etica dei media presso la facoltà di Filosofia dei Gesuiti a Monaco di Baviera, ha spiegato ai prelati la prospettiva di un approccio etico che illumini i social media.

Esempi della presenza della Chiesa tedesca sul web sono stati valutati anche da Ansgar Mayer, uno dei massimi esperti tedeschi di sviluppo del prodotto digitale. Per Mayer i contenuti sparsi sul web dalla Chiesa nei suoi siti, a partire dalla Bibbia, debbono diventare oggi le risposte che la Chiesa offre sui social media: “Se si vuole raggiungere il target dei giovani tra i 15 ed i 30 anni bisogna essere sui social network – ha detto Mayer in un intervento su Kna, l’agenzia di stampa cattolica tedesca – perché nella durata di una omelia 50 milioni di utenti hanno guardato un video su Internet e su Facebook e ci son state un milione di nuove amicizie”.

Meglio non essere miopi, quindi, e rimboccarsi le maniche: i social network oggi sono un posto da missionari. Senza dimenticare i rischi, di cui parliamo anche in questo dossier.