«Vogliamo vedere Gesù». Il nostro vastissimo sapere non ci basta

Foto: Il Muro del Pianto

In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù» (Vedi Vangelo di Giovanni 12, 20-33. Per leggere i testi liturgici di domenica 22 marzo, quindi di Quaresima “B”, clicca qui)

Il vangelo di oggi parte dalla richiesta di alcuni greci che chiedono di vedere Gesù. Sappiamo come gli ebrei contemporanei di Gesù dividessero il mondo allora conosciuto in due grandi gruppi: ebrei e pagani, chi aveva la fede di Abramo e chi non l’aveva.

CERCATORI DI VERITÀ

Dunque, sta per arrivare la pasqua. In occasione della grande festa ebraica che ricorda la liberazione  dalla schiavitù dall’Egitto, moltissima gente sale a Gerusalemme. Sono gli ebrei, ma anche dei non ebrei che, pur non avendo ancora aderito formalmente alla fede ebraica, la vedono con simpatia e compiono alcune delle pratiche tradizionali ebraiche. L’impero romano sta attraversando un periodo di profonda crisi spirituale. Molta gente è scontenta della vecchia religione pagana e cerca qualcosa di nuovo. Molte persone sono attratte dalla fede ebraica. Gli ebrei chiamano questi pagani simpatizzanti dell’ebraismo “timorati di Dio”. È probabile che i greci che chiedono di vedere Gesù facciano parte di questi “timorati di Dio”. Simpatizzano dunque per la fede ebraica, sono curiosi, vogliono sapere, vogliono in particolare incontrare questo Maestro di cui molti parlano, vederlo. Il “vedere” è una tipica, bellissima fissazione di Giovanni. Già all’inizio del vangelo, i primi discepoli vengono invitati da Gesù stesso: «venite e vedete» e, alla fine del vangelo, il “discepolo che Gesù amava”, entrò nel sepolcro vuoto e, di fronte alle bende e al sudario, «vide e credette».

Anche questi greci, dunque, si rivolgono ai discepoli e chiedono di vedere Gesù. Sono stati incoraggiati a questo dal fatto che gli stessi Filippo e Andrea, ai quali si rivolgono, portano nomi  greci; i due apostoli conoscono probabilmente il greco che, al Nord, da dove i due provengono, è molto usato dalle carovane che arrivano dall’Oriente e che sono dirette verso il Mediterraneo. Il greco è la lingua internazionale, l’inglese di allora.

È ARRIVATA L'”ORA”

Gesù vede nei Greci che si rivolgono a lui un segno dell’arrivo della sua ora decisiva e conclusiva, quella della morte e della risurrezione e ne parla. Egli, Gesù, è come il chicco di grano che produce frutto solo se muore.  È la legge tipica del vangelo: la salvezza è dono di sé, offerta della vita… Questo vale per lui, ma vale anche per i discepoli. Anche per loro, amare la vita significa perderla: l’uomo che si chiude su di sé perde tutto, infatti. È come chi abbraccia troppo forte una persona che ama: la uccide. L’uomo che, invece, è capace di abbandonarsi totalmente al Signore,  “guadagna” la vita, la vita senza fine, la vita vera, quella con il Signore.

E’ arrivata dunque è l’”ora” di Gesù: l’ora del dono della vita, l’ora del chicco di grano che produce molto morendo. Ma la vita che Gesù dona è una vita “dall’alto”, vita divina, di Figlio di Dio. E il Padre lo testimonia parlando, confermando quello che Gesù ha detto. “Venne allora una voce dal cielo:  ‘L’ho glorificato e di nuovo lo glorificherò!’” . Giovanni mette in scena, a modo suo, l’evento della Trasfigurazione: viene la voce dal cielo, bisogna ascoltare il Figlio che parla in nome del Padre che glorificherà Gesù con la morte e la risurrezione.

UNA POVERISSIMA RICCHEZZA

Forse i greci che chiedono di Gesù non sarebbero mai arrivati a incontralo senza Andrea e Filippo. Nonostante tutte le nostre obiezioni, gli altri restano fondamentali. Riceviamo sempre molto di più di quello che diamo, esistiamo perché gratificati. Dobbiamo imparare, dunque, a contare sugli altri. Ma la cosa che ci intriga e ci commuove è la provenienza di quegli sconosciuti curiosi. Sono greci, appartengono alla cultura allora più raffinata. Gesù, per loro, è un trascurabile provinciale. Se avessero dovuto dar fiducia alle loro forze non avrebbero mai chiesto di incontrare Gesù. Sarebbero arrivati da soli alla verità. Ma non si trattava di capire, bensì di gustare una compagnia nuova, non di imparare, bensì di ascoltare un annuncio.

BISOGNA PASSARE DA ATENE A GERUSALEMME

Come siamo simili a quei greci! La nostra prima esigenza non è quella di sapere e di imparare. Sappiamo molto di più di tutti gli apostoli, noi, oggi. Se fosse solo quello, non avremmo bisogno di nulla. Il nostro cellulare contiene informazioni, notizie, testi infinitamente più numerosi di tutta la cultura greca di allora. Ma al nostro desiderio di felicità e di pienezza non basta il nostro sapere e il nostro potere. È un’altra la ferita, quella che resta aperta. Quella può colmarla soltanto la stessa compagnia che cercavano i greci, quel giorno, e lo stesso annuncio dal quale erano rimasti abbagliati. Anche noi, come loro, dobbiamo passare da Atene a Gerusalemme, dalla volontà di sapere alla gratuità dell’adorazione.