Confessione. Papa Francesco: un sacramento di guarigione

Gli americani si sono inventati un programma articolato di comunicazione, si chiama «Catholics come home», che invita i cattolici che si sono allontanati dalle comunità a tornarci e a riscoprire la freschezza del messaggio evangelico. In questo periodo quaresimale nella home del sito c’è un video molto eloquente che riguarda la confessione: un giovane uomo, una giovane donna e una (bella) signora di una certa età salgono fino al portone di una chiesa con un sacco pesante sulle spalle e un’evidente espressione di sofferenza dipinta sul volto. In ogni sacco ci sono dei “macigni” nei quali queste persone vedono riflessi i loro sensi di colpa per qualche peccato di cui si sono macchiati. Entrano, si confessano con un prete dall’espressione serena e sorridente, e quando escono hanno un’espressione limpida, lasciano i sacchi a terra, saltellano leggeri giù per le scale.

È una rappresentazione emozionale, semplice, un po’ ingenua forse per noi europei, ci fa sorridere, ma a suo modo dice le cose giuste. Il sacramento della penitenza non è facile, richiede un’attenta preparazione, e forse in passato veniva lasciato un po’ da parte anche negli itinerari dell’iniziazione cristiana: la prima confessione era confinata a un ritiro a qualche settimana dalla prima comunione. Ora molte parrocchie hanno cambiato rotta. Di fronte a una certa crisi delle confessioni, hanno sentito il bisogno di riscoprirne il senso: le danno uno spazio distinto, come sacramento a sé, che si celebra in modo comunitario un anno prima dell’eucarestia. La celebrazione comunitaria non è un aspetto secondario: è facile pensare che quello che accade nel confessionale riguardi solo prete e peccatore, del resto avviene, ovviamente, in segreto. Celebrare così mostra invece che la penitenza ha un valore più grande, che riguarda in senso lato «l’educazione del cuore» e rafforza i vincoli comunitari con un impegno a seguire il Vangelo anche con l’aiuto degli altri: capita a tutti di sbagliare.

Soprattutto al di fuori della Chiesa la percezione della confessione è spesso quella di un rapporto individuale, che mette al centro il singolo peccatore, il singolo peccato: lo dimostrano casi un po’ eclatanti come quello del giornale che nei giorni scorsi ha registrato e pubblicato i contenuti di alcune confessioni, spacciando il servizio per «un’inchiesta», con la scusa di voler verificare sul campo se i sacerdoti davvero attuano gli indirizzi indicati da Papa Francesco. Lo dimostra anche la tendenza ad andare a confessarsi nei santuari, luoghi «neutri» che non chiedono di prendere impegni in una comunità o di frequentarla in modo continuativo. Sono in fondo espressioni di una società in cui il gossip spesso ha più spazio dell’impegno, e così la «confessione pubblica» che ha più il sapore di un’esibizione narcisistica.

Papa Francesco ha sottolineato invece in più occasioni che il sacramento della penitenza e della riconciliazione è «un sacramento di guarigione. Quando vado a confessarmi è per guarirmi l’anima, per guarirmi il cuore, qualcosa che ho fatto e che non sta bene». «Io non posso dire: ‘io mi perdono da solo’», ha ammonito il Papa: «Il perdono si chiede, si chiede a un altro. Il perdono dei nostri peccati non è qualcosa che possiamo darci noi, non è frutto dei nostri sforzi, ma è dono dello Spirito Santo». Il Papa ricorda che quando andiamo a confessarci «abbiamo un peso nell’anima, un po’ di tristezza», ma quando poi «sentiamo il perdono di Gesù siamo in pace, con quella ‘pace dell’alma’ tanto bella che solo Gesù può dare».