Pane e noci: il mistero della cabina telefonica scomparsa

Torna il nostro Feuilleton Pane e Noci, che nella versione 3.0 è una raccolta di racconti autoconclusivi dello scrittore Alessio Mussinelli e con le illustrazioni di Matteo Gubellini.

La cabina telefonica non funzionava più da mesi. Restava in piedi a sfidar le intemperie per abitudine, sbattuta dal vento, avvolta dalla brina, sbiadita dal sole estivo che sembrava un ricordo lontano nel rigido inverno.

– La tolgono – fu il riassunto estrapolato dal vice sindaco.

In municipio era giunta la mattina stessa una raccomandata che ne annunciava l’imminente rimozione a carico della società telefonica.

Preso nota e avvertito il vigile urbano di controllare che i lavori non intralciassero la circolazione, il consiglio comunale si salutò in fretta, complice il malfunzionamento dell’impianto di riscaldamento che aveva reso la sala una cella frigorifera.

Il mattino seguente, ancor più gelido del giorno prima, la cabina non era più reperibile nella piazza. Scomparsa, sparita, dileguata nel nulla.

Sul marciapiede brinato permaneva l’impronta degli stivali di chi se l’era portata via. Certamente più di uno, di piede compreso tra la taglia quarantaquattro e quarantasei, arrivato a bordo di un mezzo sufficientemente grosso per ospitar l’oggetto e allontanatosi dalla piazza in direzione ovest. Tutto lì, le tracce terminavano poco oltre il primo dosso sulla strada provinciale.

Nel panorama delle priorità del paese il furto della cabina era in posizione novantanove su cento, davanti solo alla proposta di sostituzione di una zolla dei giardini pubblici, oggetto del desiderio d’un quadrupede canino che mingendo quotidianamente su dieci centimetri quadri aveva fatto seccar l’erba.

Nondimeno il vice sindaco, che aveva ricevuto la lettera e s’era preso a cuore i destini del dismesso telefono, ruppe l’anima a chiunque. Voleva saper dove si trovasse la cabina in quel momento piuttosto del cosa i suoi concittadini facessero sull’ora dell’alba, tuttavia mancando dello spirito investigativo sherlockiano, confuse il dov’è la cabina? con il dov’eri stamattina?, avendo in risposta fantasiose versioni di improperi e maledizioni.

Che gliene fregava di quel che uno faceva di primo mattino? Voleva mica mettere una tassa sul caffè appena alzati, o sullo sbadiglio?

Allarmando i cittadini, s’alterò l’umore del sindaco, che sulla riduzione delle tasse aveva impostato l’intera campagna elettorale e non intendeva cedere la mano.

– Lascia perdere ‘sta cabina – fu l’avvertimento ultimo.

Ma il vicesindaco non mollò l’osso. Al di là della figura che c’avrebbe fatto con la società che aveva programmato la rimozione, gli premeva scoprire che fine avesse fatto quel cimelio della sua gioventù, dove aveva intessuto le prime parole con la ragazza che sarebbe divenuta sua moglie.

Chiedendo e indagando, supponendo e scrutando, il vicesindaco giunse in un cascinale abbandonato di proprietà del Tessera, un giovanotto sui quaranta appassionato collezionista di schede telefoniche. Anche per lui la cabina era un ricordo insostituibile.

– Non gliela farò portar via – disse il Tessera al vicesindaco.

– Nemmeno io – rispose quello.

Come ultima richiesta prima di rassegnar l’incarico e far felice il sindaco che a causa delle sue domande aveva perso consensi, il vicesindaco chiese d’installare la cabina telefonica nei giardini pubblici, al posto della zolla d’erba secca, e di apporci una targa in onore di coloro che su quel metro quadrato scarso di pavimento coperto di gomma, avevano lasciato un pezzo di cuore.

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