L’Eco di Bergamo, i direttori Borsi e Ongis. Le verità dette e le verità “dimenticate”

Nei giorni scorsi è stato pubblicato un articolo di Ettore Ongis, ex-direttore dell’Eco di Bergamo, in occasione della scomparsa di Sergio Borsi, direttore dell’Eco prima di Ongis. Quell’articolo cita alcuni nomi, alcuni fatti ma ne tace altri. Abbiamo perciò ritenuto utile chiedere a Cesare Malnati, già redattore dell’Eco e nostro collaboratore, di ricostruire quei fatti cruciali, per confermare, se necessario, ciò che Ongis aveva detto ma anche per dire con chiarezza ciò che Ongis aveva taciuto.

Ricordiamo, per comodità dei lettori, i direttori succedutisi negli ultimi tempi all’Eco di Bergamo e interessati ai fatti citati nell’articolo: Gino Carrara, direttore dal 1989 al 1995; Sergio Borsi, direttore dal 1996 al 1999; Ettore Ongis, direttore dal 1999 al 2011. Il direttore attuale è Giorgio Gandola

 

IL “FEUDALESIMO” DELLA VECCHIA REDAZIONE

In “Un pensiero per Sergio Borsi , il direttore che fece ripartire L’Eco” (mancato nei giorni scorsi), Ettore Ongis, suo successore dal 2000 al 2011, prende a pallonate, sul quotidiano on line Bergamo post, la redazione d’allora del giornale di viale Papa Giovanni. Liquidata come segue: “Al giornale vigeva una sorta di feudalesimo, con tanti capi e perciò nessun capo”.
“In cauda venenum”, il reale obiettivo dell’articolo, veramente, sta alla fine, dove si narra che successivamente Borsi, affidando ad Ongis il timone, gli avrebbe raccomandato: “Confrontati direttamente con l’editore, senza dipendere troppo dai manager!”. Chiaro riferimento all’amministratore delegato di allora, ancora in carica oggi, Massimo Cincera, che ne decretò la sostituzione. Ma va ricordato che L’Eco non aveva più “il vescovo editore”, come scrive il buon Ettore, quell’Amadei che aveva issato proprio lui – giornalista senza pedigree né marciapiede – al comando. Si presume dunque che Cincera abbia interpretato, licenziando Ongis, la volontà del nuovo vescovo Beschi, responsabile quindi della diocesi, proprietaria dell’Eco.

ALCUNE DELLE VERITÀ DIMENTICATE

Ma in questa sede – pur nella consapevolezza che il molto tempo trascorso ridimensiona il campo d’interesse e per questo chiedendo scusa – pare giusto ristabilire la verità. Per accreditare l’immagine della redazione di cui sopra, Ongis, in vena di fantasiose ricostruzioni, prosegue raccontando, fra aneddoti vari, che “a quel tempo si cominciava a lavorare alle 4 del pomeriggio”, che “la stagione del rinnovamento” segnò “la fine delle repubbliche indipendenti”, che i redattori pensavano che “il mondo intero s’estendesse fra l’Adda a ovest e l’Oglio a est”. Un giornale, insomma, prodotto da gente ignorante, limitata, con poca voglia di lavorare e pure un po’ mafiosa. Il memorabile articolo inoltre si schianta rovinosamente al suolo con lo sgradevole riferimento – nome e cognome – a un collega scomparso, messo in ridicolo.

BORSI CON IL FIATO DI ONGIS SUL COLLO

Io c’ero. Entrai a L’Eco a metà Anni 70. Assunto il primo maggio 1980, posso dire d’aver fatto tutta la gavetta. Mi dimisi ai primi 1998, a metà della gestione Borsi. Nessuna polemica con quest’ultimo, che fu chiamato per spianare la strada a Ongis. A Borsi “sarebbe piaciuto prolungare il contratto di un’altro anno”, ma Ongis, che oggi se lo ricorda, omette il piccolo particolare che l’anziano direttore aveva sul collo il fiato di Ongis stesso, passato con la velocità della luce da praticante a coordinatore di città e provincia, a caporedattore, a dirigente extralarge. Al giornale tutti lo sapevano che lui era un predestinato, da quel giorno che ce lo ritrovammo paracadutato agli interni ed esteri. Era il 1992 e mons. Amadei, proveniente da Savona, era appena stato nominato vescovo di Bergamo. Sicché andiamo per ordine.

CIRCA IL “FEUDALESIMO” E GLI ORARI DI LAVORO

A) Il feudalesimo, con tanti capi e perciò nessun capo. Contraddizione clamorosa. Il feudo, per definizione, ha un solo capo, né tanti né nessuno. Quando arrivò il giovane e già ciellino Ongis, mezzo giornale lo faceva Renato Possenti (la cronaca) e l’altro mezzo Sandro Vavassori (gli interni ed esteri), i due storici luogotenenti di don Spada. I molti capi – come l’amministrazione ben sa – li ha creati proprio Ongis, con promozioni (strumentali?) in serie a caporedattore, caposervizio e inviato.
B) Il lavoro che cominciava alle 4 del pomeriggio. Ongis – almeno adesso, dopo 10 anni abbondanti di direzione – dovrebbe sapere che un quotidiano si compone di varie redazioni, con esigenze molto diverse. Tuttora il politico del Corrierone inizia alle 4 del pomeriggio. Io lavoravo in cronaca e normalmente – “nera” o “giudiziaria” – ero attivo non più tardi delle 10. Quando Prima Linea faceva saltare le caserme dei carabinieri, sono dovuto saltar fuori dal letto, qualche notte. E la cronaca attivava i turni dalle 9.

I REDATTORI “PROVINCIALI” E IL RECORD DELLE 100.000 COPIE VENDUTE

C) I redattori ristretti fra l’Adda e l’Oglio. Intanto quella redazione confezionava il giornale più venduto in assoluto fra i quotidiani di provincia. Storico il lunedì in cui si superarono le 100 mila copie. Record imbattuto. E la media poteva raggiungere le 90 mila. Quindi l’attenzione al territorio, derivante da una profonda conoscenza dei gusti della clientela, diede i suoi frutti. E se il rilievo si riferisce, invece, a una presunta quanto inesistente chiusura mentale, facile controbattere che la gestione Ongis non ha certo allargato gli orizzonti, appiattita com’era sulle posizioni del leghista Pirovano, allora presidente della Provincia, tanto per fare un esempio. Mai creato né alimentato centri di potere, l’Eco antico accusato di “feudalesimo”.

I VECCHI FEUDI E LE NUOVE REPUBBLICHE CIELLINE

D) La fine delle repubbliche indipendenti. Quelle repubbliche indipendenti, effettivamente da riportare sotto il controllo della proprietà, erano almeno di limitate dimensioni. Sì, con Borsi, il giornale, sprovincializzandosi, aveva accentuato la sua leadership. Ma con Ongis le repubblichette tornarono. Non più repubblichette, bensì autentici continenti. Senza contare l’naugurazione di una curiosa istituzione supplementare, quella dei redattori indipendenti.

Ora tiriamo le somme. Che, sopraggiunti gli Anni 90, la redazione de L’Eco andasse rinfrescata, fuori dubbio. Dopo avere peraltro riconosciuto che quel manipolo di giornalisti – una quindicina in tutto, oggi siamo a varie decine – aveva tenuto su la baracca più che onorevolmente (cfr. gli utili dell’epoca, please) per un sacco di tempo. Invece all’improvviso si realizzò una graduale invasione, guidata da un trio di ciellini doc, composto, oltre che da Ongis, da Marcello Raimondi (nominato caporedattore per direttissima, poi a lungo in aspettativa essendo approdato alla Regione in qualità di braccio destro dell’ex governatore Formigoni) e da Massimo Romanò (un lecchese assurto a capocronista, in seguito dirottato alla direzione di Bergamo Tv). Sono trascorsi alcuni anni e nessuno dei tre – pur senza avere maturato la pensione – occupa più i ranghi de L’Eco.