Les revenants, quelli che ritornano (dalla morte). Una serie tv che parla di “resurrezioni”

Il celebre scrittore francese Emmanuel Carrére nelle prime pagine del suo ultimo libro, “Il regno” (Adelphi) in cui parla del cristianesimo delle origini, per spiegare come mai si è cimentato in questa impresa parte dalla sua (breve) partecipazione con Fabrice Gobert alla sceneggiatura della serie televisiva “Les Revenants”, che negli ultimi due anni ha raccolto consensi entusiasti di pubblico e critica in tutto il mondo, vincendo anche un Emmy (gli Oscar della televisione).

Il titolo Les Revenants si può tradurre “quelli che sono tornati”, in italiano) e racconta la storia di un paesino francese nel quale alcune persone morte anni prima tornano in vita improvvisamente, conservando le sembianze e l’età che avevano al momento della propria morte e non ricordando nulla di come questa sia avvenuta.

Ci sono stati altri film, ovviamente, che hanno parlato di persone ritornate dalla morte, ma appartengono al genere sovrannaturale apparentato con l’orrore, gli zombie, i fantasmi, film fatti essenzialmente per terrorizzare e divertire il pubblico. In questo caso l’operazione è più complessa. Quelli che ritornano sono semplicemente persone, che fra l’altro non sanno di essere morte. “Non siamo in un film fantastico -osserva Carrére- ma nella realtà. Ci si chiede, seriamente: che cosa succederebbe se questo evento impossibile capitasse per davvero?”. E poi più in là aggiunge: “…La storia degli inizi del cristianesimo è la stessa dei Revenants. Quello che Les Revenants racconta sono gli ultimi giorni prima della fine, quando i morti risorgeranno e avrà luogo il Giudizio universale, giorni che i seguaci di Paolo erano convinti di stare vivendo. È la comunità di paria e di eletti che si forma attorno a questo evento stupefacente: una resurrezione. È la storia di un evento impossibile che pure accade”. Questo è lo sguardo su ciò che la Pasqua racconta di uno scrittore che si dichiara agnostico e di un gruppo di sceneggiatori di successo che hanno deciso di sfruttare “commercialmente”  per una produzione televisiva destinata al consumo popolare la potenza di una storia di “resurrezione”. Lo hanno fatto indagandone gli aspetti più umani, indugiando sul dolore, l’elaborazione del lutto, la possibilità di riprendere un rapporto bruscamente interrotto dalla morte. Per quanto si tratti soltanto di finzione e di intrattenimento, per quanto ben fatto, per quanto non ci sia nessuna parentela con la dottrina cristiana, se non un (più o meno condivisibile, più o meno di dubbio gusto) ” furto d’ispirazione” e di temi, anche la serie, proprio per contrasto, finisce per mostrare quanto la resurrezione abbia a che fare con l’amore, la speranza, la fede. E quanto profondamente possa trasformare la vita dell’uomo, riempiendola di senso.