Lucilla Giagnoni racconta la Pacem in terris. E quel compito immenso di costruire la Pace

San Giovanni XXIII era amato da tutti perché era “un padre, non un principe”. Lucilla Giagnoni, raccontando al Teatro Sociale la Pacem in Terris, ha tratteggiato la figura del Papa bergamasco anche attraverso episodi quotidiani: come quella volta che, passeggiando in giardino, chiacchierando con i giardinieri si era posto il problema di quale fosse “il giusto salario”. Anche da questi piccoli dettagli emerge la freschezza di questa enciclica, che resta attuale, profetica, potente anche dopo 52 anni. Un Papa preoccupato della dignità degli uomini, di quelli che “hanno fame e sete di giustizia”.
“E dire che lo hanno considerato un Papa di transizione. Uno che, a 78 anni, apre un Concilio” ricorda Lucilla. E in quella enciclica, poi, c’era moltissimo. C’era la capacità di leggere i segni dei tempi, di cogliere e offrire una via. C’era, sottolinea l’attrice, lo stato sociale, in anni in cui ancora non era scontato che un uomo avesse diritto ad essere curato, ad essere sostenuto se disoccupato, ad avere il giusto per poter vivere dignitosamente durante la vecchiaia. E oggi? I diritti sulla carta esistono, ma sono in realtà spesso svuotati di significato. E quel testo si rivela ancora una potente fonte di ispirazione. Lo spettacolo è stato accolto con calore dal pubblico che ha riempito il teatro: e ora c’è la possibilità di vederlo (o rivederlo) su Bergamo Tv. Poi incomincerà una tournée che lo porterà in giro per l’Italia, anche lontano dalla nostra città.

Il testo dell’enciclica all’inizio del racconto scorre sullo sfondo, si compone una lettera alla volta: “La Pace in terra, anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi, può venire instaurata e consolidata solo nel pieno rispetto dell’ordine stabilito da Dio. I progressi delle scienze e le invenzioni della tecnica attestano come negli esseri e nelle forze che compongono l’universo, regni un ordine stupendo; e attestano pure la grandezza dell’uomo, che scopre tale ordine e crea gli strumenti idonei per impadronirsi di quelle forze e volgerle a suo servizio”. E Lucilla Giagnoni parte da quest’ordine tracciando lunghe linee a raggera che attraversano il mondo e il tempo di Papa Giovanni, amato anche dai non credenti, come Pasolini, come Kruscev, a cui con coraggio evangelico aveva regalato un rosario. Le linee di Lucilla si proiettano anche nel tempo. Parte da quegli anni Sessanta scanditi dalla musica dei Beatles e dei Rolling Stones, dalle marce per la pace, dalla Guerra Fredda. E arriva fino alle guerre di oggi, alla minaccia degli estremismi che temono la conoscenza e la cultura, la “parola che uccide più della spada” e per questo uccidono gli studenti, com’è accaduto a Garissa. L’attrice sola in scena gioca con eleganza sull’intensità e i colori della sua voce, prendendo a prestito anche altre voci, quelle, tra le altre, di Simone Weil, Etty Hillesum, Adriana Zarri, Malala, Rose Parks. Ci sono momenti altissimi nello spettacolo, come quello in cui la Giagnoni interpreta il lamento di Ecuba tratto dalle Troiane, tragedia di Euripide. Ecuba piange la morte di suo nipote Astianatte, figlio di Ettore, ucciso dagli achei perché temevano che una volta cresciuto volesse ricostruire Troia sulle sue rovine. E’ solo un bambino, ma i soldati lo gettano senza pietà dalle mura della città. “Avete avuto paura di questo bambino?” dice Lucilla, e sono molte le immagini che si affollano nel cuore degli spettatori: Ecuba diventa il simbolo di tutte le madri e le nonne che piangono i loro bambini nelle guerre del mondo. E’ un grido che spinge all’azione, il suo, che chiama a lottare per la pace, a riflettere su cosa significa, a cercarla senza arrendersi mai, perché, conclude Lucilla, non è qualcosa di già dato, ma si costruisce, ed è, ripete l’attrice con le parole di Giovanni XXIII, un compito immenso, alto e nobile: “A tutti gli uomini di buona volontà spetta un compito immenso: il compito di ricomporre i rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà: i rapporti della convivenza tra i singoli esseri umani; fra i cittadini e le rispettive comunità politiche; fra le stesse comunità politiche; fra individui, famiglie, corpi intermedi e comunità politiche da una parte e dall’altra la comunità mondiale. Compito nobilissimo quale è quello di attuare la vera pace nell’ordine stabilito da Dio”.