Piccoli gesti, cuori grandi: scene di vita quotidiana alla Caritas di Mapello

«Le case della Caritas sono le parrocchie.» Con questa frase don Claudio Visconti, presidente della Caritas di Bergamo e in occasione dei 40 anni di anniversario della Caritas Diocesana, ha voluto evidenziare il compito dei piccoli centri Caritas diffusi tra le parrocchie di Bergamo, schierati in campo a educare all’amore e alla carità.  Questo perché sono proprio le realtà Caritas locali a vivere per prime e concretamente le diverse situazioni di povertà della comunità.

Il piccolo centro d’ascolto Caritas di Mapello lo dimostra.  Attivo sul territorio, estendendosi anche alle parrocchie vicine di Ambivere e Valtrighe, chiama a sé un gruppo di volontari, composto soprattutto da donne, che hanno accolto le esigenze dei più poveri e non sono rimaste indifferenti di fronte a esse. Perché, come ci tengono a sottolineare, il dono di ascoltare gli altri lo si deve sentire “dentro”.

I volontari sono arrivati alla Caritas di Mapello da diverse esperienze precedenti, come spiega Maria Malvestiti, presidente del centro d’ascolto. «Il mio primo incontro con il mondo della povertà è avvenuto vent’anni fa  grazie all’esempio di don Elio Artifoni, allora parroco delle Ghiaie di Bonate –racconta Maria-. Poi mi sono spostata a Locate, dove era stato aperto un centro Caritas, chiuso però qualche anno dopo.» In seguito è arrivato l’invito del parroco don Alessandro Nava ad aprire il centro Caritas parrocchiale, rivolto a Maria e ad altre volontarie come Sonia, Giusi, e Nadia. Essenziale l’attività di formazione durata quasi due anni, che ha visto i primi volontari impegnati a sensibilizzare la comunità alla povertà.

«Attraverso quest’opera di sensibilizzazione abbiamo notato come fossero diverse e numerose le povertà nel nostro paese –racconta Sonia di Mapello -, e nel 2009 abbiamo pensato di aprire uno sportello di primo ascolto». A oggi il centro d’ascolto è frequentato da circa 48 famiglie, sia straniere sia italiane, testimonianti  diverse realtà: anziani, disoccupati, pensionati che faticano ad arrivare a fine mese, ragazze madri, divorziati, poveri e immigrati.  Un’attività, quella dell’ascolto, che non è facile, e richiede anche la stretta collaborazione con il comune, incaricato di segnalare le difficoltà. Di anno in anno sono aumentati i progetti che la Caritas di Mapello ha avviato, vedendo anche l’ingresso di nuove volontarie. Allargandosi alle parrocchie vicine di Ambivere e Valtrighe, ha permesso l’ingresso di Raffaella e Sonia, di Giuseppina, di Maria e tanti altri. Ognuna però ha un ben preciso compito all’interno: perché le cose da fare sono davvero tante.

C’è chi si occupa di accogliere le persone all’ingresso, quando il mercoledì mattina la Caritas apre le porte: qui serve necessariamente un bel sorriso e tanta gentilezza. Le volontarie assegnate all’ascolto vero e proprio lo descrivono invece come un compito non semplice. Le persone che si recano al centro d’ascolto a volte cercano solo qualcuno con cui parlare, per sentirsi rassicurati e ascoltati. «Si scoprono situazioni di povertà non solo materiale, ma anche interiore –spiegano le volontarie- e a  volte l’ascolto diventa pesante e faticoso, coinvolgendo la parte di noi più sensibile.»

Altri progetti avviati della Caritas hanno nomi e obiettivi stupendi: “adotta una famiglia”, che propone di aiutare, anonimamente, una famiglia in difficoltà del paese; “aggiungi un posto a tavola” prevede invece piccoli affidi temporanei per bambini con gravi problemi alle spalle; il doposcuola, rivolto in modo particolare agli studenti stranieri delle medie e delle elementari; la raccolta viveri e di vestiti usati. Non finisce qui, perché i volontari, quando possono, trovano anche un lavoro per i disoccupati, come un impiego da badante.

A fianco di queste attività si trova la “raccolta del fresco”, in altre parole la raccolta del cibo in scadenza che, ogni settimana, viene recuperato presso il vicino centro commerciale “Il Continente”. Ogni mercoledì i volontari si occupano di smistarlo, perché il cibo che andrebbe sprecato sarebbe davvero troppo: meglio ridistribuirlo, suddividendo le famiglie per settimane e permettendo a tutte di ricevere la giusta quantità. E se dovesse avanzare qualcosa? «Se rimane ancora un po’ di cibo a fine giornata lo porto alle famiglie che hanno difficoltà ma che per timore o vergogna non lo dichiarano –spiega una volontaria-. Non si spreca nulla qui.»

Il legame che si crea tra i volontari e le famiglie però non si limita allo sportello o alle attività in programma, anzi, trova nutrimento proprio per le vie del paese. «Sono tante le persone che si sono affezionate a noi –spiegano le volontarie-, che camminando per strada ci salutano con affetto e riconoscenza».  La riconoscenza si esprime spesso con gesti di gratitudine, forse a noi poco comprensibili, che dimostrano però l’importanza del lavoro dei volontari.  Ce ne parla proprio la volontaria Maria Azzolini.

«A Novembre dello scorso anno una donna Somala si recò al centro d’ascolto con la sua figlia piccolissima. Non parlava italiano ma a gesti e con qualche parola si fece capire: aspettava che le volontarie tornassero dalla distribuzione del pane. Non era il suo turno, la sua razione era già stata consegnata la settimana prima. Erano le 9 e mezza e le volontarie sarebbero rientrate solo alle 11. Si sedette su una sedia, stese una coperta ai suoi piedi e vi depose la figlia, lasciandola giocare. Era serissima, anche se cercavi di dialogare con lei rispondeva poco: rimase in silenzio per dure ore.  Poi, rientrarono le volontarie con il pane avanzato dalla consegna.»  E qui, il gesto che è rimasto ben impresso nel cuore di Maria: prima un sorriso radioso e poi un inchino profondo. «Da allora ho riflettuto continuamente su quel gesto, un inchino di fronte ad un pezzo di pane. Quando racconto questa storia alcuni rispondono dicendo che è semplicemente un’ usanza. Io credo che in quell’inchino ci fosse invece molto di più. Quella donna era scappata dalla guerra, chissà che aveva passato, gli orrori, la speranza di una vita diversa e per un po’ di pane si è inchinata. Di fronte a noi, che il pane invece lo buttiamo.»

E’ accaduto anche a Sonia, la notte di Natale di qualche anno fa. «Alla mia porta bussò la famiglia rumena che stavo aiutando. Mi chiese il permesso di cantare per noi e io acconsentii. Ben presto in casa mia entrarono 16 persone, cantando per me e la mia famiglia: mi spiegarono che era un gesto di riconoscenza e riservato esclusivamente alle persone amiche. E’ stato bellissimo e lo ricordo ancora oggi, con molto affetto.»