I registri per le unioni civili dell’Amministrazione Gori. Parere trascurabile di uno qualsiasi, cittadino e credente

Foto: Giorgio Gori, sindaco di Bergamo

La notizia è arrivata nei giorni scorsi.  L’amministrazione di Giorgio Gori, facendo seguito a una promessa fatta in campagna elettorale, intende istituire i “registri delle unioni civili” a cui potranno chiedere di essere iscritti “due persone maggiorenni, di sesso diverso o dello stesso sesso, residenti o coabitanti nel Comune di Bergamo”.

Di fronte a una novità del genere mi sono chiesto – e credo di non essere l’unico – che cosa pensare e che cosa dire come cittadino che, oltre a far parte di questa città, è anche credente e ha di suo un bagaglio di convinzioni che si devono confrontare con le novità proposte.

Come cittadino e credente avrei, per essere molto sintetico, due “sì” e tre “ma”.

PRIMO SÌ: LA SOCIETÀ DEVE METTERE ORDINE IN UN SETTORE SENZA REGOLE

Le coppie di fatto si stanno moltiplicando. Comprese, ovviamente, quelle omosessuali. L’amministratore se ne preoccupa e offre alle coppie di fatto, etero o omosessuali, la possibilità di vedere riconosciuta la loro unione e quindi di usufruire dei servizi offerti dalla società. Siccome si tratta di un settore nevralgico, l’amministratore si preoccupa di portarci un minimo di regole. Mi pare di vedere in questo una preoccupazione giusta e una presa d’atto, di fatto, necessaria.

SECONDO SÌ: I CRISTIANI SONO MINORANZA. ANCHE A BERGAMO

I credenti devono, anche loro, prendere atto di un’altra verità che li riguarda direttamente: che sono minoranza. Anche a Bergamo, anche nell’Amministrazione cittadina. Su questo specifico problema non ci risulta che da parte dei cattolici presenti nell’Amministrazione siano state fatte obiezioni, né sul contenuto né sul merito. Anche nelle minoranze, da sempre impegnate a difendere i “valori tradizionali”, sono già annunciate astensioni o voti a favore. Quindi la partita, per chi eventualmente avesse di mira altre soluzioni, è già persa.

Ma non è solo perché la partita è persa ma anche perché i credenti non vivono fuori dal mondo e devono prendere atto che il matrimonio è in crisi e che bisogna provvedere.

PRIMO “MA”: UN REGISTRO NON CAMBIA UNA CULTURA

E’ tutto da vedere se un atto soltanto amministrativo – in attesa di quello legislativo – possa rappresentare una risposta a una cultura che va molto al di là di una legge e, molto di più ancora, di un registro. Le città dove il registro esiste sono relativamente in pochi ad iscriversi. A tutt’oggi, tiene la testa Bari con 729 unioni, segue Milano con 650. A Napoli dove De Magistris ha istituito con gran clamore i registri, si sono iscritti in 20. A Pisa, dove il registro esiste da 16 anni si è a quota 56. A Gubbio, in dieci anni si erano iscritti in due e il registro è stato chiuso. Dunque, sembra di capire, i registri non risolvono, neanche in parte, il problema. I credenti, qualche volta, si illudono di salvare la fede negando una legge o un registro; ma anche gli amministratori rischiano di illudere loro e i loro amministrati pensando di risolvere il problema, semplicemente istituendo un registro.

SECONDO “MA”: SI HA PAURA DI PARLARNE

Non si sa se e quanto l’iniziativa sia stata preparata da confronti culturali e politici. Il presidente del Forum delle Famiglie, Vanni Invernici, dice di non essere stato consultato. Può darsi che l’Amministrazione abbia fatto avere una qualche forma di informazione previa alle autorità diocesane: questione di fair play istituzionale. Ma l’impressione è che su un argomento così delicato si vuole evitare una consultazione troppo vasta che susciterebbe obiezioni e difficoltà. Così si arriva al paradosso che più una novità tocca tutti e meno se ne parla. E questo da parte di una amministrazione che punta molto sul coinvolgimento, sull’apertura alle realtà locali, sui rapporti stretti con i quartieri. Si è parlato molto di più delle buche nelle strade che dei registri delle unioni civili.

TERZO “MA”: ANCHE I VASTI ORIZZONTI SONO POLITICI

I politici non dovrebbero limitarsi a essere i notai delle esigenze emergenti ma fare in modo che le necessità siano collocate nell’orizzonte più vasto dal quale ricevono senso. Avviene anche stavolta una stravagante divisione di ruoli. I credenti difendono la famiglia tradizionale e fanno ovviamente la figura dei tagliati fuori che difendono l’indifendibile. I politici sono gli uomini à la page che accettano un’idea nuova di coppia. I valori vecchi ai credenti e l’emergenza nuova ai politici. Ora, i credenti prendono atto del nuovo modo di essere coppia e accettano anche i registri delle unioni civili, di cui, ovviamente, non sono entusiasti. Dall’altra parte, però, i politici non dovrebbero dimenticare i valori: famiglia, figli, educazione, costituzione italiana e via dicendo. I “grandi orizzonti”, infatti, sono essi pure politici. E i buoni amministratori sono essi pure politici proprio perché non dimenticano quegli orizzonti.

IN ATTESA

Per tutto questo l’Amministrazione Gori sarà una buona amministrazione se non si limiterà a istituire dei registri che, probabilmente, lasceranno le cose grosso modo come sono. Insomma, sarebbe un bel guaio se un nuovo registro diventasse pretesto per non fare quel molto, moltissimo altro che resterà comunque da fare per la coppia, per la famiglia e per tutto il resto.