Felici nonostante tutto. Comprese l’incertezza e la mancanza di lavoro: agli «Under 30» piace sentirsi attivi

«I dati tratti dal Rapporto Giovani 2014 fanno emergere la volontà dei ragazzi di mettersi in gioco e dimostrare il proprio valore, nonostante la crisi economica che stiamo vivendo. Questa, infatti, è una generazione “nonostante”, cioè nonostante le difficoltà resta la voglia di mettersi in gioco, di non rassegnarsi, di cercare comunque e pensare positivamente alla possibilità di ottenere qualche risultato concreto. C’è una quota rilevante, non maggioritaria, di giovani che sono ai margini, sono i “neet” e questa è la fetta di ragazzi che preoccupa di più, che rischia una condizione di forte disagio psicologico emotivo, perché marginalizzata».
Alessandro Rosina, Professore ordinario di Demografia nella Facoltà di Economia presso l’Università Cattolica di Milano, è uno dei curatori dell’indagine effettuata partendo da un panel di 5.000 giovani di età compresa tra i 19 e i 31 anni promossa dall’Istituto Giuseppe Toniolo in collaborazione con l’Università Cattolica, che informa che il 71,8% dei giovani è felice. «I dati del Rapporto Giovani mostrano come la felicità sia rafforzata dal sentirsi attivi, dal fare, dal vedere il proprio tempo utilmente impiegato», dichiara Rosina, nato nel 1968 in provincia di Padova, Direttore del centro di ricerca “Laboratorio di statistica applicata alle decisioni economico aziendali”.
Prof. Rosina, quali sono le categorie under 30 alle quali vi siete rivolti?
«Abbiamo intervistato quattro categorie di under 30, maschi e femmine che vivono nel nostro Paese: i cosiddetti Neet (Not engaded in education, employment or training, giovani che non studiano e non lavorano), gli studenti, i lavoratori e gli studenti-lavoratori. Il Rapporto Giovani 2014 è quindi un’indagine rappresentativa su tutta la popolazione degli under 30 italiani».
“Quanto ti ritieni felice”? A rispondere “per nulla” è meno del 5%, il 13,3% degli intervistati ha risposto “molto, il 23,6% “poco”, a fronte del 58,6% che rispondono “abbastanza”. È quindi una moderata felicità quella che riguarda i giovani italiani?
«Sì, la realtà dei giovani non è infelice, questo è uno dei risultati più interessanti dell’indagine. La maggioranza dei ragazzi si colloca su una condizione di relativa felicità. Molti di loro sono in attesa che i loro progetti di vita si realizzino ma la condizione di essere giovani, di aver davanti una vita intera da spendere auspicando possa evolversi positivamente, fa sì che molti di loro ora si considerino felici. Non hanno ancora affrontato grandi delusioni o frustrazioni tali da dire non posso poi trovare un modo per realizzarmi in modo adeguato. C’è ancora tutto un futuro davanti da costruire, anche se c’è molta incertezza su questo futuro ma la voglia di mettersi in gioco per realizzare qualcosa di positivo, una gran parte di loro la possiede».
Quali sono gli aspetti legati alla condizione di felicità?
«Tre sono gli aspetti che sono legati alla condizione di felicità: il primo, l’essere giovani in sé, il secondo la possibilità di avere davanti delle prospettive di lavoro. Infatti, chi è attivo, è attivo perché sta studiando, perché sta lavorando anche per esempio nel volontariato. Ciò da concretezza a questa felicità, a far sì che questo patrimonio di felicità e di visione positiva sia salvaguardato. Il terzo aspetto è rappresentato dalle relazioni umane, cioè quei giovani che nonostante le difficoltà, il non avere lavoro e gli ostacoli, hanno comunque un tessuto attorno di relazioni che li aiuta e li incoraggia. Questi giovani riescono a mantenersi maggiormente positivi e a difendere un benessere psicologico personale. Tutti quei ragazzi che non hanno questa rete, rischiano di deprimersi di più e di trovarsi in maggiore difficoltà».
La paura di adattarsi e di non riuscire a emanciparsi dai genitori, è quello che preoccupa maggiormente i giovani?
«Questi sono due aspetti che incidono maggiormente, non costruire un percorso di vita quindi trovarsi a dipendere a lungo dai genitori, arrivare a trent’anni e non essere riusciti a realizzare un proprio percorso di vita professionale. Il secondo aspetto è di rinunciare ai propri sogni, alle proprie ambizioni e quindi adattarsi. Tutto ciò rischia di creare una pericolosa condizione di “intrappolamento” che penalizza i giovani».
Tra i Neet la percentuale di chi si dichiara felice scende al 59%, mentre tocca l’80% tra chi studia e lavora. “Neet: quando l’inattività fa rima con infelicità”, è stato il tema della Sua relazione al Convegno per la 91ma Giornata Universitaria dal titolo “Chiedimi Se Sono Felice…” a Milano lo scorso 16 aprile, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Ce ne vuole parlare?
«La condizione di benessere psicologico emotivo è molto legato all’attività. Questo si vede dal dato citato nella domanda, perché la felicità è legata non tanto al reddito e al benessere economico ma soprattutto alla produzione di senso e al riconoscimento sociale, che si ottengono attraverso il proprio agire. I giovani inattivi che non lavorano e che non vedono via d’uscita entrano in una condizione d’infelicità che è legata proprio al loro non riuscire a realizzare qualcosa di concreto. Anche a non trovare il riconoscimento sociale, perché chi non fa nulla si sente inutile, è come se non avesse una società, una comunità che dà valore al suo tempo e alla sua voglia di fare. Rimanendo fuori dal lavoro, non riuscendo ad affermarsi, si rischia di vedere le proprie competenze non spese adeguatamente. Chi non lavora si sente marginalizzato rispetto alla società e questo pesa fortemente nella condizione di benessere psicologico ed emotivo della persona».
“Abbiate il coraggio di essere felici” è il messaggio che Papa Francesco ha rivolto ai giovani in vista della Gmg 2015. “Vi chiedo di essere rivoluzionari, vi chiedo di andare controcorrente; sì, in questo vi chiedo di ribellarvi a questa cultura del provvisorio”. Vuole commentare le parole di Bergoglio?
«L’invito “rivoluzionario” del Papa nello spronare i giovani è di non accontentarsi o comunque di non adattarsi troppo alla condizione di provvisorietà nella costruzione della propria vita. Quindi guardare non solo alle difficoltà attuali ma gettare uno sguardo in avanti, verso un futuro positivo da costruire. Lottare ora per una società più giusta che consenta ai giovani di poter emergere, una società che possa restituire ai ragazzi una voglia positiva di essere protagonisti del loro futuro. Questo coraggio di essere felici penso che sia un invito rivolto a tutti i giovani a sentirsi protagonisti positivi della costruzione del proprio futuro e quello della società in cui vivono. Prendere in mano il proprio destino e farlo diventare qualcosa di positivo per sé e per quelli che stanno intorno. Essere rivoluzionari vuol dire anche questo: prendere coraggio come generazione per cambiare e migliorare la società».