Da Yarmuk, all’Armenia, a noi

Foto: profughi nel campo di Yarmuk

Anche col passare del tempo alcune stragi particolarmente efferate tornano a  galla e diventano punto di riferimento per nuove forme di violenza che avvengono in Medio Oriente. Ma non solo.

La strage nell’immenso campo palestinese di Yarmuk, all’inizio dello scorso aprile, a Damasco, ha suscitato sdegno e condanna universali, come la strage selettiva di studenti universitari cristiani perpetrata a Garissa, in Kenia.
Yarmuk è stata attaccata e assediata, sono stati commessi crimini di guerra, crimini contro l’umanità, con migliaia di bambini in condizioni penose.

MUSSULMANI CONTRO MUSSULMANI

Ma diversamente dal solito, la tragedia di Yarmuk si sviluppa in un quadro particolare in relazione all’identità dei protagonisti di queste nefandezze.
Non sono gli imperialisti americani che fanno guerre per il controllo geopolitico dell’area del petrolio.
Non sono gli Ebrei dello Stato di Israele che occupano la striscia di Gaza contro i Palestinesi ed Hamas.
Non sono gli europei, gli ex colonialisti che difendono i loro investimenti, definiti ancora come i crociati.
No, siamo di fronte ad arabi che massacrano arabi, a musulmani che massacrano musulmani, ad arabi musulmani che massacrano i Palestinesi.
L’Isis, che si comporta da nazista, dall’inizio fa guerra civile, fa guerra di sunniti contro sciiti, e incrudelisce sui cristiani, ma tagliare la testa ad un medico palestinese proveniente da Gaza, volontario in missione umanitaria, questo in Europa, oltre che assurdo, è incomprensibile. Perchè?
Perchè la vicenda di Yarmuk è causata solo in parte da una lotta di classe contro ingiustizie, sfruttamento, alienazione, miseria ed emarginazione. Solo in parte è causata da contese per motivi economici, come lo scontro tra Arabia sunnita e Iran sciita per il controllo del petrolio. Solo in parte è causata da contese territoriali legate a Israele e Territori occupati. E addirittura viene perpetrata contro il popolo palestinese che, come quello del Tibet dimenticato, subisce la forte oppressione che tutti condannano.

L’INCOMPRENSIBILE IDEOLOGIA DELL’ISIS

C’è qualcosa, nell’ideologia di Isis che taglia le gole anche dei palestinesi, che è fuori dalla nostra capacità di capire, e infatti non se ne parla.
Saltano gli schemi interpretativi correnti sul Medio Oriente: sfugge molto, e resta in piedi poco delle letture politico-sociologiche in voga da decenni. E allora, poichè non può essere sbagliata la realtà che si propone nella sua oggettività, vuol dire che è sbagliata la lettura che ne facciamo.
Ciò che accade in Medio Oriente ha certamente come motivazioni forti la frustrazione, la povertà, il petrolio e Israele. Ma balza agli occhi la variabile delle religioni che la cultura occidentale, secolarizzata e materialista, non è capace di vedere o non vuole vedere. È fuori dubbio che Isis e il fondamentalismo islamico strumentalizzano in modo eclatante e volgare la religione, e non è certo un dato nuovo.

L’EUROPA TROPPO LONTANA

Ma l’Europa si acceca da sola, se non considera che i popoli islamici vivono in una cultura in cui l’Islam impregna di sè società economia e politica. Nei nostri cosiddetti salotti buoni, taluni possono ben ragionare nei termini laici e laicisti che vogliono relegare la religione nell’ambito privato.
Ma la verità è che l’impossibilità di interpretare il Corano, che va preso alla lettera, impedisce a cinquanta Stati islamici di ratificare la “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” fatta all’ONU nel 1948.

E LA LIBERTÀ RELIGIOSA ASSENTE DAGLI STATI ISLAMICI

E’ un dato di fatto, che possiamo fingere di ignorare, ma che resta lì, vero e duro come un sasso: libertà di pensiero e di religione non sono possibili nell’Islam.
E la conseguenza è una visione fondamentalista della religione e della politica che coinvolge grandi masse islamiche o per scelta o per terrore.
Su Medio Oriente e Islam è urgente fare operazioni di verità, soprattutto quando la verità non piace.
Papa Francesco ricorda giustamente il genocidio degli armeni cristiani, e lo fa con coraggio, anche se la Turchia non se lo vuole sentir dire.
In prospettiva bisogna aiutare l’Islam a fare la rivoluzione di separare la politica dalla religione, rivoluzione portata da Cristo quando dice ” Date a Dio quel che è di Dio e date a Cesare quel che è di Cesare”. Oggi però, se vogliamo capire cosa accade dal Magreb all’Indonesia, dobbiamo prendere atto del ruolo decisivo delle religioni, del ruolo indispensabile del dialogo tra le religioni per costruire la pace, perché sono le teologie che producono le antropologie e le sociologie.
Possiamo ignorarlo, ma non possiamo ignorare che una diagnosi sbagliata produce una terapia sbagliata, e che la conseguenza è che il malato muore.

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