Latouche: riconvertire l’energia, l’industria e gli orari di lavoro. Un futuro possibile

Quanta attesa per Serge Latouche!! Per capirlo bastava guardare la sala del Centro Congressi Giovanni XXIII gremita di gente, ma l’incontro che ha visto come ospite al Bergamo Festival della Cultura l’economista e filosofo della decrescita serena e Bernardo Bortolotti, professore di economia all’Università di Torino, ha superato le aspettative.
Due ore di dibattito intenso, moderato dal sociologo Marco Marzano, che ha visto i due ospiti confrontarsi su posizioni a volte contrastanti, ma accomunate dalla reciproca insoddisfazione verso l’attuale stato dell’economia globale.
Più critico e radicale il primo, che dinnanzi alla «scomparsa della crescita dalla società della crescita» accusa politici ed economisti di raccontarsi bugie al fine di non vedere quello che, sottolinea Latouche, anche un bambino capirebbe: «la crescita illimitata in un mondo limitato è, per natura, impossibile». Il filosofo francese, d’altronde, non ha dubbi:
«la crescita è sparita negli anni ’70, non si è più ripresa e non riprenderà mai». Tanto vale allora smetterla di sfruttare senza criterio tutte le risorse del nostro pianeta che, secondo gli esperti, nel 2050 rischia di giungere al collasso. Ma quale sarebbe, allora, la cura per salvare il salvabile? Latouche lo professa da anni: decrescere! E, durante la conferenza, ha spiegato alcuni passi del suo progetto politico, soffermandosi per lo più sul concetto di “riconvertire”: riconvertire l’energia, riconvertire l’agricoltura, passando dall’attuale sistema produttivista alla modalità ecologica, riconvertire l’industria, e riconvertire, infine, gli orari di lavoro: «lavorare meno per vivere meglio», afferma il filosofo.
Più moderato, dal canto suo, Bortolotti. L’economista italiano riconosce che la crescita in Italia è latitante ormai da tempo, ma sottolinea che anche nei Paesi dove essa è ancora presente, si tratta comunque di una crescita insana, intrinsecamente legata al tema delle disuguaglianze. E se gli economisti hanno sempre banalizzato il concetto, sostenendo che di disuguaglianza, in fondo, non si muore, Bortolotti invece ammonisce: «Non morirà forse la gente ma, attenzione, di disuguaglianza muore la società!». A differenza del guru della decrescita, però, Bortolotti crede ancora in una crescita sostenibile e più “umana”, da riscoprire a partire dal pensiero di chi l’economia l’ha fondata: Adam Smith e la sua teoria dei sentimenti morali secondo cui ogni essere umano, per natura, porta dentro di sé i principi che lo rendono partecipe della felicità altrui. La ricetta che Bortolotti propone, insomma, si basa sulla costruzione di una comunità più empatica e più solidale: i primi cambiamenti in questa direzione, sostiene l’economista, sono visibili già da qualche tempo: la sharing economy, tra luci e ombre, può essere un valido esempio. Un pensiero meritevole il suo, al quale tuttavia non corrisponde un programma definito, tanto che, ad alcuni, è parso un concetto un po’ troppo astratto o, per meglio dire, utopico, ma del quale, tuttavia, va elogiato lo spirito ottimista. E d’altronde il progetto della decrescita, così come quello della crescita sostenibile, partono proprio da una forte riconcettualizzazione della vita e del mondo, implicano dei cambiamenti profondi, prima di tutto culturali che, si sa, necessitano di molto tempo per affermarsi.
Alla luce di queste riflessioni, in chiusura di conferenza, solo una domanda è rimasta nell’aria: immaginando che il cambiamento iniziasse anche oggi stesso, a partire dal basso, e quindi dalle persone comuni che davvero hanno la voglia e la moralità di cambiare le cose, sarà possibile vedere concretamente, in futuro, i risultati di questo cambiamento? In altre parole: iniziando ora riusciremo ad evitare che quel 2050 spazzi davvero via tutto?

(Nella foto: Latouche con i giovani del Bergamo Festival)