Don Marco Giganti: «Mi sono lasciato guidare dalla preghiera»

Viene da un piccolo paesino (Rova) che si affaccia sul lago di Endine. Ha 28 anni e il 30 maggio sarà per lui un giorno particolare, il giorno della grande svolta della sua vita, il giorno della sua ordinazione presbiteriale. Si chiama Marco Giganti; don Marco dalla sua ordinazione diaconale del 31 ottobre scorso; Giga per tutti coloro che hanno imparato a volergli bene per quel suo sorriso contagioso e quella disarmante gioia che lo contraddistingue.
Con lui scambiamo quattro chiacchiere in vista del 30 maggio.

Come ci si prepara ad un evento così importante?
«Mi preparo in tanti modi diversi: può apparire scontato ma sicuramente attraverso la preghiera, stare a contatto con la parola del Signore che mi aiuta e mi libera da eventuali timori o paure che, umanamente, di fronte ad una scelta definitiva possono presentarsi. Altro aspetto che mi accompagna verso questo passo per me importantissimo è il vivere a fondo le esperienze che sto facendo: penso al seminario, agli ultimi giorni con i miei amici e compagni con i quali condivido sempre grandi emozioni e gioie. Penso anche alla parrocchia: mai come in questi giorni sento che tutto me stesso è proiettato verso l’essere prete e quindi l’assumere lo stile di un pastore che si prende cura delle persone che gli sono affidate».

Vado piuttosto a ritroso e ti chiedo: come nasce una scelta del genere?
«Andiamo a circa 20 fa. Avevo 8-9 anni quando già cominciava a nascere dentro di me un piccolo sogno-desiderio di diventare prete. Era il periodo della prima comunione e, per un bambino come me che ha sempre vissuto la dimensione della preghiera in modo forte, c’era questo grande stupore di un Dio che veniva a far visita nella mia storia e nella mia vita.
A onor del vero devo dire che il tempo delle medie e delle superiori sono stati momenti in cui ho allontanato da me questa idea pur continuando ad alimentare la mia fede: ero giovane e volevo una famiglia, volevo fare un lavoro che mi piacesse. Sono stati per me degli anni molto belli ed intensi, avevo una fidanzata eppure continuavo a sentire forte una provocazione che c’era da tempo in me. In quinta superiore dovevo scegliere cosa fare della mia vita e, ancora una volta, la preghiera mi ha aiutato come se si fosse ri-accesa una fiamma. Ma non era più il sogno del bambino, era una possibilità concreta per un giovane che stava cercando una via nella sua vita. Da lì ho chiesto aiuto al mio parroco che, per i primi anni, mi ha fatto da accompagnatore spirituale; abbiamo fatto un po’ di discernimento. Sono poi entrato nel Gruppo Samuele – gruppo di giovani che si trova una volta al mese – e successivamente ho iniziato gli incontri vocazionali a 19 anni».

La prima esperienza forte per uno che aspira a diventare prete è sicuramente il seminario. Ci racconti il primo impatto con un mondo così diverso?
«Non è stato facile: vieni catapultato in una realtà diversa, con ritmi e orari prestabiliti. Ma anche solo il fatto di stare a contatto per così tanto tempo con altri giovani non mi era mai capitato e, inizialmente, non è stato facile. È stata però la fase che definisco dell’innamoramento, dunque non mi facevo problemi a svegliarmi presto per pregare».

Ci sono mai stati dei momenti di dubbio?
«Ci sono stati in corrispondenza dei momenti un po’ più faticosi. Penso in modo particolare all’anno propedeutico, di fronte alle prime difficoltà, all’emergere della fatica, mi sono chiesto: ma questa è davvero la mia strada?
Questo “dubbio” si è ripresentato anche in prossimità delle scelte definitive: ricordo che la grande agitazione che avevo l’anno scorso, in occasione del vicariato, mi fece dubitare. Ma è normale che, di fronte a scelte definitive, un uomo sia in agitazione».

Tre anni fa sei stato mandato a Longuelo per affiancare, come seminarista, don Massimo Maffioletti nella gestione dell’oratorio. Come ti ha aiutato questa esperienza nel tuo percorso?
«Mi sono trovato catapultato in una realtà completamente diversa dalla mia. Io vengo da un piccolo paese che non ha un oratorio vero e proprio e tutto si risolve attorno alla figura del parroco. Longuelo è una dimensione completamente diversa: un quartiere grande (rispetto al mio), all’interno della città. Questo mi ha aiutato ad uscire un po’ dal guscio, penso in particolare allo scorso anno quando ho avuto la possibilità di stare qui per un anno intero e di svolgere compiti importanti come il coordinamento dell’oratorio o l’accompagnamento dei ragazzi della catechesi. Tutto questo mi ha fatto diventare molto più uomo capace di prendersi le sue responsabilità. Ho trovato grande accoglienza da parte di tutti, adulti e giovani».

Nella lettera di invito alla tua ordinazione si legge una frase tratta dalle Scritture che recita: «Ed Egli mi ha detto: “Ti basta la mia grazia; la mia forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”. Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze». Come è cambiata (se è cambiata) in questi anni la pro-vocazione, come tu stesso l’hai definita, che il Signore ti ha posto?
«Credo che la pro-vocazione sia sempre stata la stessa. La questione è, piuttosto, come io la interpretavo. Sono partito 9 anni fa con una certa idea di prete: quella del prete capace di far tutto, senza debolezze e senza fatiche. Questa convinzione è cambiata in particolare nell’anno della quarta teologia. Ho vissuto l’esperienza del mese ignaziano, tempo in cui il silenzio fa emergere tutti i ricordi, belli e brutti, della propria storia. Mi sono reso conto davvero delle mie fragilità e faticavo ad accettarle. Riflettevo che forse quella non era la mia chiamata. Durante il periodo del mese ignaziano feci un sogno: trovavo questo crocifisso per terra, tutto sporco e pieno di polvere; io mi chinavo e lo ripulivo dalla polvere. Il giorno dopo questo sogno ho sentito che risuonavano chiare in me queste parole: “È per te che sono così”. Questo ha scatenato in me una grande emozione. Ho capito che non ero io il centro di questa scelta ma era Lui. La frase che ho riportato nella lettera è quella che ha sintetizzato il mio percorso. Io l’ho letta in questo modo: “Ti basta la mia grazia. Non è necessario che tu sia un uomo perfetto, ti basta questo. E non preoccuparti perché nelle tue fragilità, lì passerà la mia forza».