Dai Podemos spagnoli a Salvini. La pretesa di correggere l’Europa proponendone i limiti

Foto: Pablo Iglesias, leader dei Podemos spagnoli

I PODEMOS: CHI SONO, COSA PENSANO

Le recenti elezioni amministrative spagnole hanno regalato a Podemos (una lista nata dalle esperienze degli Indignados e da pezzi di Izquierda unida, che è stata quasi prosciugata) , il terzo posto, quanto a numero di consiglieri eletti, nonché il Comune di Barcellona. Anche Ciudadanos (Cittadini), versione catalana “né di destra né di sinistra” di Podemos, ha ottenuto buoni risultati. Podemos si presenta con punti di una piattaforma, quali si ritrovano in Tsipras, Grillo, Le Pen, Salvini, Farage: critica della casta, denuncia della corruzione dei ceti politici, istanze di partecipazione democratica di tipo referendario, politiche sociali, tra cui il reddito di cittadinanza, per combattere le disuguaglianze crescenti, scetticismo antiueropeo, fondato sulla contestazione della politica di austerity e sul deficit di partecipazione democratica. Le strategie politiche variano a seconda dei contesti nazionali. In Spagna il leader di Podemos Pablo Iglesias Turrion vuole fare alleanze, diversamente da Grillo.

LE RAGIONI CHE SPIEGANO I PODEMOS E I LORO SIMILI

Mentre resta largamente imprevedibile l’assestamento conclusivo degli equilibri politici, giacché l’ingovernabilità è destinata a crescere, qualche ragionamento meno improbabile si può fare sulle cause di dinamiche elettorali che investono l’intera Europa.
La crisi finanziaria incominciata nel 2008 si è ben presto trasformata in crisi economica ed occupazionale. Benché la Spagna si trovi leggermente più avanti dell’Italia sulla strada della ripresa, tuttavia l’occupazione non cresce: crescita senza occupazione. Intanto le disuguaglianze sociali e la concentrazione di ricchezza sono aumentate. Parliamo di diseguaglianze relative. Quando ce n’erano di meno, le persone in fondo alla scala stavano peggio in assoluto, rispetto ad oggi. Come sul nastro di una lunga scala mobile, le persone sono state spostate più in alto rispetto alla povertà originaria. Circa 800 milioni di persone sono uscite in questi anni dalla povertà assoluta, attratte dal vortice positivo della globalizzazione. Tuttavia, le distanze tra chi sta su un gradino e chi sta su quelli successivi sono rimaste e, soprattutto, sono percepite con maggiore nettezza di prima e perciò rese meno sopportabili. Questa percezione sociale si deve sia alla crescita del benessere relativo sia all’aumento dell’informazione e dell’istruzione. Il miglioramento della propria condizione materiale diviene il motore più potente di una presa di coscienza, che spinge verso la richiesta di giustizia e perciò di partecipazione. Non stupisce che soprattutto nei Paesi europei, tra i più ricchi e sviluppati al mondo, questa coscienza si sia estesa a generazioni giovani e a strati sociali intermedi, che si sentono minacciati dalla “crescita senza lavoro”. Sono loro a mettere in discussione i paradigmi economico-sociali, politici e istituzionali, che hanno retto brillantemente lo sviluppo negli ultimi decenni, fino alla crisi del 2008, e a segnalarne l’esaurimento. Tuttavia le piattaforme che questi movimenti esprimono, sulle base delle quali raccolgono voti consistenti in tutta Europa, non spingono verso il superamento di quell’impianto politico-istituzionale ed economico. Se la causa fondamentale delle difficoltà europee sta nell’incapacità di governare con gli strumenti statal-nazionali attuali i processi di globalizzazione; se, pertanto, occorre muoversi in fretta verso la costituzione di organismi politico-istituzionali sovrannazionali e continentali, che tengano testa alle grandi potenze mondiali, ci si aspetterebbe, per esempio, la richiesta di un’accelerazione dell’unità economica, politica, militare dell’Unione europea. Invece no!

CONTRADDIZIONI

Questi movimenti – da Farage a Marine Le Pen, a Grillo, a Salvini, a Podemos, alle destre dell’Est europeo – sembrano ripiegare verso una politica economica e fiscale nazionalistica, ostile all’unità europea. Solo il Partito nazionale scozzese di Nicola Sturgeon è rimasto federalista e europeista, sulle tracce ormai scomparse della prima Lega di Bossi! Sì, l’attuale Unione europea deve le proprie difficoltà al fatto che continua ad essere fortemente inter-governativa e inter-statale e per niente affatto federale. E’ vero che il Parlamento europeo, eletto dai cittadini europei, ha scelto per la prima volta il Presidente della Commissione, ma è anche vero che il governo reale è controllato da una tecnocrazia, che risponde ai governi e agli Stati, più che agli elettori. La medicina non può essere il ritorno agli stati nazionali, ma, semmai un loro radicale superamento in direzione di un’Unione europea, caratterizzata da unità della moneta, della politica estera, della difesa. La contraddizione che alla lunga strangolerà questi nuovi soggetti politici è denunciare l’inadeguatezza dell’Unione europea, così come è oggi – e la denuncia è sacrosanta – e contemporaneamente pretendere di rimediarvi, accentuando le ristrettezze nazionalistiche, che sono la causa principale delle attuali défaillances dell’Europa.