Qui Malawi. Al lavoro per costruire la nuova prigione di Ntcheu: un luogo dove ricominciare

Un carissimo saluto dal villaggio di Balaka dove sta arrivando l’inverno. Ancora più freddo è il clima a Ntcheu perché le montagne sono più vicine. Ma oggi non preoccupa più il freddo. Oggi è festa alla prigione di Ntcheu. È iniziato il progetto di ricostruire una prigione e i missionari Monfortani lo portano avanti nel ricordo dei trecento anni di San Luigi da Montfort.

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Ecco cosa resta delle celle dove generazioni di prigionieri hanno sognato la libertà e per tanti è stato invano. Troppi non sono mai tornati a casa. Ricordi la puzza e il buio di queste celle finalmente scoperchiate? Ogni mattone ha una storia da raccontare. Costruita usando il fango di questo carcere è stato possibile recuperare tutti i mattoni che sono delle reliquie come il cemento del muro di Berlino finalmente abbattuto. Una costruzione che era usata per essiccare il tabacco quasi cento anni fa, prima che nel 1947 diventasse una prigione.

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Qui c’era lo spiazzo dove i carcerati passavano le loro giornate nella peggiore noia della vita. Quante volte siamo venuti a incontrarli a raccontare loro che era importante sperare e prepararsi al ritorno a casa come persone nuove. Quanti dei visitatori venuti da lontano qui hanno ascoltato i loro racconti di fame, di scabbia e malattia. Questa è più di una cella di un carcere del Malawi. È un luogo sacro per il dolore che racconta. Non è riuscito a cambiare la vita probabilmente a nessuno dei carcerati, e li ha forse rinchiusi in un mondo di violenza e tristezza di sapere di aver fallito.

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È già tracciata la linea delle nuove fondazioni che daranno spazio alle due grandi celle che diventeranno per troppi anni la loro casa. Uno spazio per poterci vivere in modo piu’ dignitoso, con l’acqua corrente e i bagni che da sempre sono il peggiore incubo delle prigioni. E li vedi muoversi tra questi muri squarciati come dei fantasmi. Loro i carcerati che con le loro mani – forse per la prima volta nella storia del Malawi – hanno raso al suolo la loro prigione. Le autorità carcerarie hanno svuotato la prigione portando tutti gli altri in altre celle ancora più sovraffollate. Sono rimasti questi cinquanta lavoratori a ricostruirsi la loro prigione. Non mi è mai capitato di trovarmi in un posto più adatto alla meditazione come in questo spiazzo che fino a pochi giorni fa conteneva trecento carcerati con altrettante storie. E sono tutti giovanissimi: ragazzi diventati uomini troppo in fretta con un domani che fa più paura delle mura della prigione che finisce per identificarli come carcerati a vita.

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Il lavoro ormai procede spedito. In un angolo della prigione un gruppo di carcerati scava la buca dove costruire le fosse biologiche a garanzia di una migliore condizione igienica.

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Mentre all’ombra è iniziato anche il lavoro di frantumare i sassi per avere il quarry necessario per il cemento armato. Un lavoro paziente, con il martello pesante a scheggiare sasso dopo sasso.

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Dalla prigione di Ntcheu un carissimo saluto. Questa iniziativa vorrebbe andare ben oltre un lavoro di qualche mese a ricostruire un carcere. Vorrebbe essere un esempio anche per gli altri 25 tuguri che sono le prigioni del Malawi. Mentre si ricostruiscono la loro prigione imparano anche a ricostruirsi la loro vita. E se lo meritano proprio queste persone ora alla deriva ma capaci di un miracolo che dà senso alla missione, al vangelo e al tesoro che è ogni persona.

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I nuovi mattoni – per un carcere nuovo non solo nell’apparenza. Vorrebbe essere un nuovo posto dove è data la possibilità di ricominciare. Nel nome del giubileo della misericordia …Vi racconteremo ancora come niente è mai perso per sempre e
come è possibile ricominciare. sempre.