Quando Gesù dorme, in mezzo alla tempesta

In quel giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: “Passiamo all’altra riva”. E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui.
Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva (Vedi Vangelo di Marco 4, 35-41. Per leggere i testi liturgici di domenica 21 giugno, dodicesima del tempo ordinario “B”, clicca qui)

LA PAURA DEL MARE E DELLE TEMPESTE

Gesù, dunque, deve “passare all’altra riva”. I suoi amici sono pescatori, posseggono una barca. Altre barche li scortano. Mentre stanno attraversando il lago, scoppia improvvisamente una tempesta. Capita spesso sul lago di Genesaret. Solo che gli ebrei hanno paura delle acque. Anche il lago di Genesaret lo chiamano “mare”: il “mare di Galilea”. Poi esiste il “grande mare”, il Mediterraneo, chiamato anche “il mare occidentale” o “il mare dei Filistei”. Il mare è sempre, per l’ebreo, luogo abitato da mostri. Nel mare abita il favoloso il Leviatan, il più pauroso dei mostri marini. Fin dalla creazione Dio ha combattuto con il mare e ha mostrato la sua potenza soggiogandolo. La liberazione dall’Egitto ha significato anche il passaggio dal mare Rosso, chiamato anche “Mare dei Giunchi”. Nei salmi e in Giobbe il mare e le sue onde sono simbolo delle tentazioni, delle prove che possono sommergere il credente.

IL TERRORE DEGLI AMICI E IL SONNO DI GESÙ

Mentre la tempesta infuria e riempie la barca e mentre gli amici di Gesù, ebrei che temono il mare, sono terrorizzati, Gesù sta a poppa e dorme. È il tratto più straordinario. Il racconto sottolinea anche che il sonno è profondo: Gesù sembra davvero “stare comodo” in mezzo al cataclisma. Donde la paura e forse anche il disappunto dei discepoli che lo apostrofano con una certa forza: “Maestro, non t’importa che siamo perduti?”.

La risposta di Gesù contrasta fortemente con lo spavento dei discepoli: “Si destò, minacciò il vento e disse al mare: ‘Taci, calmati!’. Il vento cessò e ci fu grande bonaccia”. Risulta evidente che lo scopo del miracolo, qui come altrove, non è tanto quello di mettere in risalto una prodigiosa capacità di Gesù, ma di far attirare su di lui lo sguardo di coloro che hanno visto e suscitare, quindi, in loro, la fede. Per questo Gesù li rimprovera: “Perché avete paura? Non avete ancora fede?”. Avevano con sé il Maestro, colui che doveva essere il loro punto di orientamento e si comportano come se non avessero nessuno, soli e allo sbando.

ALLA FINE, IL TIMORE

Adesso però hanno visto. Il mare furioso si è calmato, alla tempesta è subentrata una “grande bonaccia”. Si capisce che i discepoli siano presi da grande timore. “Timore” è lo stesso termine che, nel Vangelo di Marco, descrive lo stato d’animo delle donne che scoprono il sepolcro vuoto. È la paura di fronte a una manifestazione inattesa della potenza di Dio.

ABBIAMO DUE PROBLEMI: LA TEMPESTA E IL SIGNORE CHE DORME

Quando arrivano le tempeste i discepoli del Signore hanno due problemi: la tempesta e il sonno del loro Maestro. Arriva una grande prova e il Signore non si fa vedere, non si fa sentire, dorme. Il Maestro, che dovrebbe essere la risposta al problema, diventa un problema supplementare. In quel frangente, il credente deve rimanere fedele al suo Dio che non parla, deve ascoltare una Parola che non risuona più. Muore una persona cara, arriva una malattia grave,  passo attraverso drammi familiari (tutti, vero?, abbiamo la nostra lista) e ho la sensazione di dovermela sbrigare da solo, proprio mentre ho più bisogno di compagnia.

CHE MERAVIGLIA UNA BARCA CON IL SIGNORE APPRESSO!

La mia fede diventa matura quando arrivo a capire che, mentre mi sforzo di vivere dignitosamente le mie prove, in realtà lui c’è. Anzi, il suo sonno può essere, paradossalmente, la prova della sua fiducia verso di me. Non c’è bisogno che lui si metta a buttar fuori l’acqua dalla barca perché lo sto facendo io. Avviene come in altri passaggi evangelici, dove un padrone parte per un paese lontano e lascia amministrare la sua casa, o la sua vigna ai suoi dipendenti. Il nostro Dio lascia libera la scena. Lui c’è perché ci siamo noi. E noi ci siamo noi perché c’è lui: prima di tutto quello che possiamo fare, infatti, c’è la sua incomparabile compagnia. Che bello essere su una barca nella quale ci portiamo appresso il nostro Signore, così pieno di fiducia in noi, da dormire, mentre noi ci affanniamo ai remi, al timone e alle onde che ci sommergono.