La politica: i cattolici dove sono?

Foto: il cardinale di Milano Angelo Scola

“La voce dei cattolici in politica è quasi sparita”. A dirlo, poco tempo fa,  è stato  il cardinal Angelo Scola, a margine della tradizionale giornata di incontro con i cresimandi allo stadio Meazza di Milano. Una battuta che ha sollevato molte discussioni e alcune polemiche. In realtà, credo che sia difficile non convenire con il cardinale ambrosiano. E’ sotto gli occhi di tutti la poca significatività – se non addirittura irrilevanza – dei cattolici nell’agone politico del nostro Paese. Irrilevanza che è speculare alla scarsa, se non nulla, formazione alla polis all’interno delle comunità cristiane. Non solo ambrosiane, anche bergamasca.  E non basta avere un Presidente della Repubblica che proviene da una delle tradizioni culturali più feconde e significative del Novecento – quella del cattolicesimo democratico – per ritenere esaurita la provocazione del cardinal Scola.

NON BASTANO GLI SLOGANS

Personalmente credo che la questione della presenza politica dei cattolici sia stata praticamente rimossa dopo la fine dell’unità nella Democrazia Cristiana: la diaspora che ne è seguita non ha consentito tuttora – al di là di un generico impegno alla testimonianza personale e pubblica della propria fede – di trovare il modo di mediare «laicamente» i valori cristiani nella cultura e nella società secolarizzata e pluralistica di oggi. Non è sufficiente – avvertiva con lucidità il card. Martini – limitarsi a proclamare i cosiddetti «valori non negoziabili» ed esigere che la legislazione li promuova, “se non ci si fa carico di una ricerca paziente di soluzioni pratiche che tengano conto anche di chi ha concezioni diverse (discorso di S.Ambrogio 1996), se non si cercano strade politiche condivise. “Questo della mediazione antropologico-etica” – precisava – è forse uno dei lavori più importanti e urgenti per i cristiani impegnati in politica, ed è uno dei contributi più fecondi che le comunità cristiane possono dare alla società civile oggi»; i principi della fede, lungi dal trasformarsi in motivo di conflitto e di contrapposizione all’interno della convivenza civile, “devono risultare vivibili e appetibili anche per gli altri, nel maggior consenso e concordia possibili” (ivi). Lo stiamo sperimentando in questi giorni. Di fronte alla rozzezza e alla semplificazione di slogans e proclami che parlano seduttivamente alla pancia della gente, non si sono levate con forza voci di politici che, di fronte al dramma dei migranti, siano stati capaci di assumere l’impegno evangelico (“ero forestiero e mi avete accolto”) e di tradurlo, laicamente e con competenza, dentro proposte possibili e praticabili.

LAICI CLERICALI

Oltre la battuta del cardinale occorre chiedersi però come si sia arrivati a tale situazione e se vi sono, almeno nel medio lungo periodo, possibilità di cambiamenti. Molte, evidentemente, sono le ragioni. Una, tra le tante, mi pare decisiva. La scelta, operata dall’episcopato italiano almeno fino all’elezione di papa Francesco, di clericalizzare (e neutralizzare) l’azione dei laici credenti. In un documento episcopale del 2005 (Fare di Cristo il cuore del mondo) si ammetteva per la prima, e forse unica, volta, l’indebolimento del laicato e la sua scomparsa dal proscenio della Chiesa. “Non sempre l’auspicata corresponsabilità (dei laici) ha avuto adeguata realizzazione e non mancano segnali contraddittori. Si ha talora la sensazione che lo slancio conciliare si sia attenuato. Sembra di notare in particolare una diminuita passione per l’animazione cristiana del mondo del lavoro e delle professioni, della politica e della cultura ecc. A volte può essere che il laico nella Chiesa si senta ancora poco valorizzato e compreso. Oppure, all’opposto, può sembrare che anche la ripetuta convocazione dei fedeli laici da parte dei pastori non trovi pronta e adeguata risposta, per disattenzione o per una certa sfiducia o un larvato disimpegno”. Il privilegio concesso ai movimenti nell’ultimo ventennio, la minor presa della forma associativa e della sua democrazia, la progressiva centralizzazione in capo alla Conferenza episcopale, hanno indebolito il laicato organizzato e le sue élites senza peraltro intercettare il laicato comune delle assemblee liturgiche domenicali e, ancora meno, quello dei frequentanti occasionali, i più secolarizzati. Il processo di normalizzazione dei movimenti non ha segnato una significativa emersione di nuove leadership laicali. Esse sono piuttosto cooptate attraverso la creazione di aggregazioni di seconda specie che cominciano ad apparire dagli anni ’90 in poi: il Forum delle associazioni familiari dal 1992, Retinopera dal 2002, Scienza e fede dal 2005. La scelta operata dalla Chiesa italiana, nata dalla constatazione della fine della Democrazia Cristiana e della dispersione in poli contrapposti dei cattolici impegnati in politica, è stata quella di voler trattare in modo diretto con i poteri politici statali e di sostenere un discernimento culturale e politico attraverso quelle aggregazioni. La decisione, nei fatti, ha ridotto considerevolmente lo spazio sia delle mediazioni delle istanze laicali sia di un’azione politica autonoma dei laici cristiani.  Negli ultimi vent’anni, nei fatti e nelle scelte, abbiamo a lungo svilito l’autonomia dei laici in politica. E ora ci lamentiamo che non ci sono più?

SENZA METODO

Non solo. Non aver educato ad un metodo politico adeguato ha reso i cattolici del nostro Paese incapaci di andare oltre gli appelli generici. Lo sappiamo: il credente può e deve fare politica – sapere e prassi che ha leggi e valori specifici che non possono venire posti a lato – solo se pratica buone mediazioni, che siano incarnazione dei principi o dei valori attraverso l’azione. In caso contrario si condanna o al tradimento dei valori oppure all’inefficacia politica. La costruzione della mediazione è il modo politico di mettere in pratica la necessaria coerenza con i valori cristiani. La legittima formulazione dei principi da parte dei Pastori non può sostituire il discernimento dei credenti che, in quanto cittadini tra cittadini, sono chiamati a tradurre questi principi, nella città di tutti, in formule giuridico-politiche, tenendo conto di una serie di fattori contingenti e nel rispetto della dialettica democratica con soggetti di diversa ispirazione. Insomma, in politica occorre avere metodo. Non solo buone intenzioni. Oggi molti cristiani paiono non avere né l’uno né l’altro. A perdere è il Vangelo ma anche la città dove i cristiani, insieme a tutti gli altri, vivono.