Dopo gli attentati del “venerdì nero”. La sicurezza non è né un lusso né una mania fascista

Foto: una delle immagini drammatiche dell’attentato di Sousse, Golfo di Hammamet, Tunisia

È un vero peccato – diceva Oscar Wilde – che gli uomini imparino lezioni di vita quando ormai non servono più. Non so se sia troppo tardi, ma serviranno gli ennesimi tragici eventi di queste ore per svegliarci dal torpore e farci capire come sia in atto una vera e propria guerra mondiale? Come sempre capita, ci si accorge di quanto una cosa sia importante solo quando ci manca, ed è appunto in queste ore di panico e di confusione che sentiamo un disperato bisogno di sicurezza.

LA SICUREZZA VISTA CON SOSPETTO

Veniamo da anni in cui, soprattutto in Italia, questa parola è stata guardata con occhi sospetti, bandita dal vocabolario di certi politici e certi intellettuali: è duro a morire il pregiudizio secondo cui la sicurezza è un modesto bisogno da borghesucci, una pulsione tendenzialmente reazionaria e fascisteggiante, se non una fobia patologica da curare. Chi invocava una maggiore attenzione dei governanti al comparto sicurezza veniva impietosamente tacciato di belligeranza (basti ricordare le cicliche polemiche sulle spese per gli aerei militari, che, beninteso, sarebbero inutili nel migliore dei mondi possibili, ma sono necessari nel mondo reale). Tutti siamo sempre stati piuttosto infastiditi dai controlli snervanti negli aeroporti e nei musei; una volta, addirittura, in una lettera a un quotidiano una signora si lamentava dell’allarme di un appartamento che troppo spesso disturbava i vicini, inanellando una serie di polemiche contro questa mania piccolo-borghese di difendere la proprietà privata con antifurti e inferriate.

UN BISOGNO ISTINTIVO DA PRENDERE SUL SERIO

Adesso, nel caos più incontrollato, ci si accorge invece di quanto la sicurezza – ovviamente al netto delle strumentalizzazioni e dei discorsi a fini elettorali – sia un cosa serissima, un’esigenza universale e basilare, un’aspirazione legittima senza la quale non ci sono indicatori economici che valgano. Non c’entra nulla il fatto che il bisogno di sicurezza sia istintivo e non razionale: la vita è fatta anche di sensazioni e percezioni, e chi ha il compito di migliorare le condizioni di vita dell’uomo (se è ancora questa la missione che affidiamo alla politica) deve occuparsi dell’uomo nella sua globalità. La sicurezza non è la certezza che niente ci possa accadere, ma che tutto sia stato fatto per evitare che accada. Qualcuno dirà che l’imponderabile è sempre in agguato, che la politica non potrà mai garantire una sicurezza assoluta. È vero, e lo dimostrano i fatti di queste ore; ma la politica – tutta –   può almeno farsi carico del problema e considerarla una priorità, dimostrarsi consapevole del fatto che la sicurezza è un bisogno prima di tutto delle fasce più deboli, di chi vive o opera in zone difficili e periferiche.

PER EVITARE CHE LA PAURA GENERI MOSTRI

Essere persino disposta, nel caso, a scelte rigorose, per evitare il sopravvento di pulsioni sì intollerabili e pericolose. Siamo davvero sicuri che in questi anni tutto ciò sia stato fatto? Non è sminuendo, trascurando o negando le richieste di sicurezza dei cittadini che li si convincerà a sentirsi non minacciati, sicuri e fiduciosi. La storia insegna semmai il contrario: da Roma 1922 a Berlino 1933.