Nota di liturgia/Le troppe parole che uccidono la liturgia

DAL MISTERO TROPPO NASCOSTO AL MISTERO TROPPO SPIEGATO

I meno giovani ricordano alcuni tratti della vecchia liturgia preconciliare, uno in particolare, importantissimo: il latino. Il latino era la lingua ufficiale della liturgia cattolica e quella lingua, incomprensibile alla massa dei fedeli, era incaricata di suggerire il mistero che si celebrava e la sacralità del rito. La riforma del Vaticano II ha significato anche, oltre a tutto il resto, la presa d’atto che il mistero non lo si salva annunciandolo in una lingua che non si capisce, ma con tutto uno stile celebrativo che ne proclama la grandezza. Da allora si è avviato nella Chiesa l’atteggiamento che quella riforma suggeriva: non nascondere ma spiegare il mistero. E si è incominciato a spiegare la liturgia, non nelle catechesi e nella formazione dei cristiani che servono la liturgia, ma nella liturgia stessa. I riti sono stati invasi da interminabili didascalie: un mare di parole. La liturgia è diventata, alcune volte, una catechesi sulla liturgia e la messa una spiegazione della messa.

PAROLE PAROLE PAROLE

Ora, va ricordato un principio semplice e ovvio: la liturgia è quella scritta nel messale e negli altri libri liturgici. Questi, tra le altre cose, prevedono spazi di libera iniziativa del celebrante ma il testo previsto dalla Chiesa deve restare centrale. Tutti gli altri testi dovrebbero avere alcune caratteristiche semplici. Primo: non dovrebbero soffocare i testi della liturgia. Quindi: devono essere brevi, essenziali, distribuiti su alcuni – pochi – punti del rito e non buttati lì dappertutto; non dovrebbero mai essere letti dal celebrante stesso, ma da un lettore, a conferma del fatto che il ruolo essenziale nel rito è del celebrante e le didascalie, che non sono parte essenziale del rito, le legge il lettore. Secondo: si dovrebbe salvaguardare l’equilibrio fra gesti e parole. Le troppe parole soffocano i gesti e un rito eccessivamente verboso rischia di non essere più un rito. Quindi: il celebrante deve dare tutto il rilievo possibile ai gesti che si accompagnano alle parole. Esempio: le mani allargate devono essere proprio allargate; un inchino deve proprio essere un inchino e non un frettoloso ciondolamento della testa, il ritmo dei gesti non deve mai essere frettoloso (non si deve far passare l’implicito messaggio: “facciamo alla svelta, ho altro da fare” perché di più grande della messa c’è solo il Paradiso); il segno di croce non deve essere gesto scacciamosche; gli spostamenti dalla sede all’altare, all’ambone, dove si legge il vangelo e si fa l’omelia, non devono essere corse da centometristi… e così via. Le stesse precauzioni liturgiche dovrebbero caratterizzare anche gli atteggiamenti degli altri “attori” della liturgia: lettori e chierichetti, in primis.

LA LITURGIA AFFASCINANTE E FRAGILE

Sono soltanto esempi. Preoccupazioni eccessive? Direi proprio di no. La liturgia è un evento straordinariamente fragile, fatto di tanti piccoli particolari. Alcuni particolari che non “funzionano” bene fanno nascere una brutta liturgia. E, giova ricordarlo, se la liturgia è segno, cattivi singoli riti fanno un cattivo segno e, alla fine, una cattiva liturgia.