Giovani (forse) si diventa. Ma c’è un tempo per ogni cosa. Lo dice anche Ben Stiller

Anche se il paragone con Woody Allen sembra eccessivo o quantomeno affrettato, il giovane newyorkese Noah Baumbach è uno dei registi contemporanei da tenere d’occhio. Nato a Brooklyn, Baumbach è, infatti, da dieci anni uno degli autori più stimati nel panorama dell’industria indipendente americana, capace di compensare budget assai ridotti grazie a copioni ricchi di energia e di humor e all’apporto di attori che hanno accettato con piacere di prestare il proprio talento a personaggi sfaccettati, complessi e, talvolta, non così lontani dall’orlo di una crisi di nervi.
La sua opera prima, “Il calamaro e la balena” raccontava, con uno sguardo al contempo lucido e ironico, affettuoso e amaro, la progressiva, inesorabile disgregazione di un nucleo familiare medio-borghese, a partire dalla separazione fra l’accademico Bernard, ex scrittore di successo e intellettuale un po’ snob, e sua moglie Joan, impegnata a uscire dall’ombra del marito costruendosi una propria carriera letteraria e frequentando un aitante istruttore di tennis di nome Ivan. A ritrovarsi in un perenne stato di transito fra un genitore e l’altro, alle prese con un’instabilità fisica ed emotiva che va a sommarsi ai consueti turbamenti dell’adolescenza, sono il sedicenne Walt, succube suo malgrado della figura paterna, e il dodicenne Frank, che prende invece le parti della madre.
Bilanciando accuratamente humor e realismo, Baumbach non cede a forzature e semplificazioni: ed è appunto questa intima “verità” a rendere “Il calamaro e la balena” un film tanto vivido e credibile, con personaggi in grado di toccarci proprio in virtù delle loro imperfezioni. Una pellicola che parla della famiglia, dei legami che la caratterizzano, della sua importanza per la crescita di ognuno di noi.
Anche nella sua ultima pellicola, “Giovani si diventa”, al centro della storia c’è un nucleo familiare, ristretto perché si tratta soltanto di un marito e di una moglie, ma sempre una famiglia, alle prese con un periodo delicato del loro rapporto. L’ambiente è quello della middle class intellettuale della Grande Mela, osservato dal regista con partecipazione e inevitabili rimandi autobiografici (ecco perché il paragone con Allen). Ben Stiller è un documentarista, impegnato da lungo tempo nella post-produzione di un’opera ambiziosa; la sua tranquilla routine accanto alla moglie Cornelia muta però all’improvviso quando Josh viene avvicinato da un suo giovane fan adorante, Jamie, aspirante documentarista sposato con Darby. Stuzzicato dalla fervente ammirazione del ragazzo, Josh comincia a frequentare lui e la moglie, coinvolgendo anche Cornelia, inizialmente riluttante; eppure, ai due coniugi quarantenni basterà qualche incontro per farsi ammaliare dallo stile di vita alternativo e bohémien di Jamie e Darby, contraddistinto da orari molto flessibili, piccole follie ed esperienze bizzarre e inedite. La fascinazione della coppia nei confronti dei loro amici poco più che ventenni funge così da viatico per un inevitabile bilancio esistenziale, spingendoli a un tentativo di rinnovamento. Scopriranno che non è tutto oro quello che luccica e che c’è un tempo per ogni età e generazione. Impareranno ad accettarsi per quello che sono e ad affidarsi l’un l’altro. Come per il suo primo film, Baumbach tratteggia personaggi in cui è facile identificarsi, inquieti e un po’ sperduti, alla ricerca di un equilibrio, specchio della confusione dei nostri tempi, in cui spesso si naviga a vista.