Suor Simona e le vite ferite delle donne di Casa Samaria

Anche nella Chiesa le donne sono multitasking: questa è la prima scoperta che abbiamo fatto chiacchierando con tre membri del gruppo che ha preparato il convegno su “Donne e Chiesa” che si svolge dal 28 al 30 luglio a Sotto il Monte. Ci hanno raccontato le loro storie e da ognuna emergono, come vedrete, sia la ricchezza dell’esperienza vissuta nelle comunità cristiane di appartenenza, sia tanti, diversi e particolari “carismi” femminili.

Si può essere madri in molti modi, anche senza aver generato figli “biologici”.
E’ un pensiero che affiora spontaneamente ascoltando suor Simona della congregazione delle suore delle Poverelle parlare dalla sua vita accanto alle donne in carcere.
La sua vocazione è nata vent’anni fa: “Sono rimasta profondamente colpita – racconta – da ciò che accadeva nella ex Jugoslavia: i drammi delle persone, la guerra, i bombardamenti. Le notizie che leggevo e ascoltavo mi lasciavano il segno. Così ho incominciato a sentire il bisogno di fare qualcosa per gli altri. Ho pensato che avrei voluto rimediare in qualche modo a queste ingiustizie. Quella di lasciarsi ferire dalle sofferenze altrui (fin troppo) è una caratteristica molto femminile, a volte c’è il rischio di farsi davvero male. Da lì, comunque, è partita la mia ricerca: ho incominciato a impegnarmi nel volontariato e a guardare con attenzione il mondo missionario. E’ così che ho conosciuto le Suore delle Poverelle e sono rimasta colpita dal loro stile di vita: a un certo punto ho scelto di entrare nella congregazione”. A questa scelta è seguito un lungo periodo di formazione. Alla fine suor Simona ha iniziato il suo servizio accanto ai poveri, prima in parrocchia e poi in una comunità che accoglieva mamme e bambini. Una casa protetta per chi aveva subito situazioni di violenza. Da sei anni, invece, vive a Casa Samaria, una comunità che ospita donne che possono accedere a misure detentive alternative al carcere.
“Sono donne piene di ferite – spiega – ed è accanto a loro che ho sperimentato come la sensibilità femminile possa anche essere un punto di debolezza: va bene essere accoglienti sempre e in modo gratuito ma a volte in questo modo si rischia di essere molto vulnerabili al male”.
A Casa Samaria le donne vengono aiutate a recuperare la propria identità e autonomia: “E’ un lavoro spesso duro che passa anche attraverso i piccoli gesti della vita quotidiana, anche solo quelli necessari per far funzionare la convivenza: ordine, pulizia, puntualità negli impegni”. C’è una grande attenzione alla formazione: “Molte ragazze non hanno titoli di studio, tutte hanno comunque bisogno di trovare la loro strada, frequentando per esempio corsi professionali. Alcune non hanno nemmeno idea di che cosa vorrebbero fare. Facciamo laboratori creativi di generi diversi proprio cercando di far emergere capacità e desideri. Alla fine qualcuna chiede, per esempio, di poter seguire un corso di cucina o di cucito, di informatica, di lingue straniere”. Molta cura viene data anche all’appartenenza religiosa e a ciò che dà senso alla vita: “Anche il tempo libero deve essere impiegato in modo costruttivo” chiarisce suor Simona. Tra gli obiettivi più importanti di questo lavoro c’è quello di evitare che le persone dormano tutto il giorno come avviene in carcere, e poi incoraggiarle a vivere, per esempio, esperienze di volontariato sul territorio, che hanno anche un valore riparativo. “Spesso queste donne non si rendono conto di dover fatto un danno e di dover riparare un torto. E’ preziosa la loro presenza accanto agli anziani della casa di riposo, alle mense cittadine dei poveri, nelle associazioni di volontariato. Sono attività che in qualche modo, almeno in parte, compensano il danno fatto: e generano vita e meccanismi positivi di solidarietà e aiuto reciproco”.