Fondazione Conti Calepio: le emozioni che salvano la vita

Non appena metto piede nella sede della Fondazione Conti Calepio, Marco (il nome è di fantasia) mi viene incontro per darmi un abbraccio. Non mi era mai capitato, in tutta la mia vita professionale, di ricevere un’accoglienza tanto entusiasta: un gesto tanto semplice e denso di significato quanto spiazzante, a maggior ragione se a compierlo è non solo un perfetto sconosciuto, ma una persona che normalmente riterremmo “svantaggiata”. Marco è infatti uno dei 20 ragazzi (“li chiamiamo così anche se sono persone adulte, ma per noi rimangono sempre dei ragazzi” rivela il presidente della Fondazione, Cinzia Romolo) con disabilità gravi (tetraplesi spastiche, disturbi comportamentali, sindrome di down, autismo) che frequentano il centro diurno, ossia il servizio che va dalle prime ore del mattino fino al pomeriggio inoltrato (dalle 8 alle 16, per l’esattezza), durante il quale svolgono attività educative e ricreative seguiti dalle educatrici del centro. Durante la mia visita in quella che qualcuno ha definito “un’oasi di resurrezione”, Marco continua a osservarmi: è affascinato dalla macchina fotografica che spunta dalla tracolla (“E’ nuova?” mi domanda incuriosito), poi passa a domande più personali (“Sei sposato?”). Dal suo sguardo capisco come riconosca in me un suo coetaneo, di cui vuole sapere di più: Marco ha infatti più o meno la mia stessa età e ha dentro di sé un forte desiderio di conoscere il mondo, anche attraverso nuove conoscenze e relazioni umane. Ed è proprio questo uno degli aspetti che mi hanno colpito del centro che si occupa dell’accoglienza e della cura di ragazzi con disabilità gravi (diviso tra diurno e residenziale), collocato nel cuore della Val Calepio: la profondità e la semplicità delle relazioni umane, emozioni che troppo spesso diamo per scontate nella nostra vita quotidiana. Ma che non lo sono affatto. Le attività che vengono svolte all’interno del centro sono le più svariate: si va dalle attività di manipolazione a quelle sensoriali, dai laboratori artistici alla musicoterapia, dall’utilizzo del computer alla lettura. La giornata inizia con il riconoscimento della data: ai ragazzi viene chiesto di ripetere il giorno, il mese e l’anno, in modo che facciano lavorare la memoria. Un esercizio tutt’altro che banale: serve infatti a d aumentare il loro grado di autonomia, che passa anche dal saper identificare le coordinate spazio-temporali. Molte attività vengono dunque svolte all’interno del centro (circondato da un immenso giardino), altre all’esterno. “Predisponiamo delle uscite per far vivere i ragazzi in contesti di normalità e a contatto con le diverse realtà del territorio, aspetto per noi fondamentale: si va dall’appuntamento in biblioteca alla piscina, dalla spesa al centro commerciale agli eventi sportivi, dalle sagre di paese (con il contributo determinante degli Alpini) fino alla gita al mare, la più ambita di tutte di tutte” ci racconta Cristiana Lecca, coordinatrice del centro. E una volta al mese, nella cappelletta della struttura, viene celebrata dal parroco di Castelli Calepio, don Vittorio Ginami, la Santa Messa, a cui partecipano tutti i ragazzi. Nella struttura situata in via Leopardi, a Castelli Calepio, lavorano dunque cinque educatori, cinque tra Asa e Oss oltre a figure medici specializzate come lo psicologo, due fisioterapisti e consulenti (fisiatra, cardiologo e neurologo). “Normalmente i centri diurni non forniscono questo tipo di servizi, da noi è possibile grazie al residenziale” ha aggiunto Cristiana Lecca. La visita prosegue nel reparto riservato, per l’appunto, al residenziale: qui vivono in maniera stabile 24 ragazzi, di età media sui 50 anni, con diverse disabilità, fisiche e mentali. Al mio arrivo sono impegnati nelle attività di ginnastica sotto il berceau all’esterno della struttura: l’esercizio consiste nel fare canestro. E in quel momento rimango colpito dalla gioia che esprimono quando la palla attraversa la rete, dal sostegno che cercano di infondersi l’uno con l’altro, dalla ricerca del contatto visivo e fisico con le educatrici. “Ogni progetto viene studiato in base alle esigenze di ognuno di loro, poi condiviso con le famiglie, che vengono seguite passo dopo passo- ha spiegato la stessa coordinatrice- con i parenti ci sono due incontri annuali di condivisione, uno a Natale e uno ad agosto. E’ inoltre attivo da tre anni un gruppo di ascolto, dedicato ai genitori, che viene seguito da uno psicanalista: i parenti si riuniscono e possono parlare liberamente di alcune tematiche importanti legate alla disabilità: in primis le preoccupazioni relative al futuro dei propri figli (“Quando non ci saremo più, cosa ne sarà di loro?”), seguite dalle dinamiche non sempre facili all’interno della famiglia (le relazioni con i fratelli e sorelle ad esempio) e infine il rapporto tra sessualità e handicap”. Una struttura d’eccellenza, dunque, dove l’imperativo è cercare sempre di inserire attività in calendario per togliere i ragazzi dalla monotonia, farli sentire a loro agio e consentire loro di avere una vita dignitosa. Non mancano però anche i problemi: in primis le necessità di ampliamento. “Nel territorio stanno emergendo situazioni che necessiterebbero residenzialità, ma non abbiamo più posti liberi- ha sottolineato il presidente della Fondazione, Cinzia Romolo- a parte gli accreditamenti dell’Asl e il contributo delle rette, tutti gli altri costi sono sostenuti dalla Fondazione: vorremmo sempre fare di più, ma dobbiamo scontrarci con il fatto che si tratta però di una definizione atipica, in quanto non vi sono entrate, ma soltanto uscite. E da soli non riusciamo ad arrivare dappertutto: chi volesse fare una donazione (la cui destinazione verrà documentata) per le nostre attività è da me caldamente invitato a venire a visitare la nostra struttura. Lascerà in questo posto un pezzo del proprio cuore”.