Migranti: oltre duemila morti nel Canale di Sicilia. Il viaggio verso la «Fortezza Europa» fa vittime come una guerra

Dall’inizio del 2015 ad oggi non passa giorno senza una notizia sulle migrazioni. Cosa si ricorderà di più? Il bambino ivoriano nascosto in una valigia per raggiungere i genitori immigrati in Spagna? I blocchi a Ventimiglia e nelle stazioni di Roma e Milano o i lunghi e accesi dibattiti politici italiani e dei vertici europei per spartirsi poche decine di migliaia di richiedenti asilo e ratificare soluzioni per bombardare i barconi in Libia? O gli oltre 2.000 morti nel tentativo di attraversare il Mediterraneo e arrivare in Europa, 400 in più dello scorso anno, nello stesso periodo? Erano stati 3.279 alla fine del 2014, a fronte di circa 180mila arrivi sulle coste italiane. L’Italia e la Grecia sono interessate da flussi migratori molto simili (quest’anno rispettivamente circa 97.000 e 90.500), eppure i tassi di mortalità sono molto diversi: sulle 2.000 vittime di quest’anno sono stati circa 60 i migranti morti sulla rotta verso la Grecia. Le altre, tutte scomparse nel Canale di Sicilia.
Una delle ultime vittime della “fortezza Europa”, ad inizio agosto, è stato un migrante marocchino di 27 anni: anche lui si è nascosto in una valigia, e stava viaggiando nel bagagliaio di una macchina a bordo di un traghetto partito dall’enclave di Melilla e diretto verso la Spagna meridionale. Purtroppo non è gli andata bene come al bambino, che ha potuto riabbracciare i genitori e restare con loro. È morto soffocato prima di raggiungere la meta. Nemmeno il nome ci è dato sapere. Altri ne sono morti in questi ultimi giorni nel tentativo di attraversare il tunnel della Manica tra la Francia e la Gran Bretagna, due Paesi poco generosi negli ingressi che si sono accorti un po’ in ritardo – ora parlano come l’Italia – che non possono farsi carico da soli dell’accoglienza senza la solidarietà europea, ma che si premurano di dire che le loro “strade non sono lastricate d’oro”. Dimenticando, perché la memoria è breve in questi casi, che se i profughi fuggono da conflitti, violazioni di diritti o situazioni di miseria estrema, è anche per loro responsabilità, che in Africa hanno avuto e hanno tutt’ora non pochi interessi neo-colonialisti.
Tanti numeri e speculazioni varie ma poche storie di persone e situazioni drammatiche veramente conosciute a fondo, nonostante quest’ultime siano necessarie per far comprendere a chi dibatte cosa c’è dietro, quanta disperazione e determinazione c’è in chi rischia tutto, anche la vita, per sperare in un futuro degno, migliore.
Le cronache giornalistiche hanno decantato, in questi mesi, gli sforzi fatti per raggiungere un accordo e spartirsi 40mila profughi: una cifra che, se rapportata agli arrivi previsti in Italia per quest’anno (almeno 200mila) e agli oltre 500 milioni di abitanti dell’Ue a 28, è assolutamente risibile e certo non risolutiva del problema.
Il governo italiano ha cantato vittoria perché, per la prima volta, lo sforzo dell’accoglienza sarà condiviso anche da altri Paesi (non da tutti perché alcuni si sono opposti fermamente). Ma quelli che se ne andranno saranno ancora pochi, circa 24mila, mentre il sistema interno non regge all’impatto gestionale dei nuovi arrivi, anche per scarsa disponibilità politica di alcune Regioni e Comuni.
Il risultato maggiore raggiunto dagli accordi europei è stato però, dopo la chiusura dell’operazione Mare Nostrum, l’apertura dell’operazione Triton per salvare le vite. Anche le organizzazioni internazionali riconoscono gli sforzi straordinari delle forze navali nel Mediterraneo, che continuano a salvare vite umane ogni giorno. Il numero di decessi è diminuito in maniera significativa negli ultimi mesi e ciò è dovuto in gran parte al potenziamento dell’operazione Triton: il Mediterraneo è ora perlustrato da un maggior numero di imbarcazioni che si possono spingere fino a dove partono le richieste di soccorso. Sono quasi 188.000 i migranti salvati nel Mediterraneo fino ad ora. A queste si sono aggiunte anche alcune navi di privati e di organizzazioni umanitarie come Medici senza frontiere, che hanno deciso di farsi carico in proprio dei salvataggi, per non avere sulla coscienza la perdita di queste vite.
Le cifre delle vittime del mare servono per capire l’enormità di questo dramma umano che sta assumendo, negli anni, i contorni di un genocidio, perché sono i numeri di una guerra. Oggi ci si schiera pro o contro l’immigrazione, si alzano i muri o si chiudono le frontiere; domani, fra qualche decennio, queste tragedie entreranno nei libri di storia.
E chissà cosa racconteremo ai nostri nipoti, di questa Europa oggi intrappolata nelle sue paure, nei suoi pregiudizi e nelle sue chiusure. Bugie per rifarsi il trucco? Cosa si deciderà di scrivere, nel prossimo futuro, su queste pagine ancora vuote?