Una università nella quale pulire il futuro dei giovani. Nostra intervista al prof. Ivo Lizzola

Ivo Lizzola è docente di Pedagogia Sociale e di Pedagogia della Marginalità e dei Diritti umani presso il Dipartimento di Scienze Umani e Sociali dell’Università degli Studi di Bergamo.

Le elezioni del nuovo rettore dell’università di Bergamo sono un’occasione per riflettere sul ruolo dell’Ateneo nella nostra comunità ma anche per ripensare il senso della sua presenza nella vita dei giovani che vi studiano, dei docenti e dei ricercatori che vi lavorano.
In un tempo complesso e di trasformazioni come quello che stiamo vivendo.

Come avviarsi verso gli anni complessi e aperti che ci attendono? L’Università di Bergamo se lo chiede?

È importante aprire una riflessione approfondita sul passaggio culturale, sociale e politico nel quale si inserisce il ruolo dell’Università non solo a Bergamo ma anche in Europa, nel mondo interdipendente e ‘aperto’. È decisivo sia in riferimento alla formazione di giovani donne e uomini, sia per orientare lo sviluppo e la ricerca dei saperi e dei poteri. Orientamento da trovare, ad esempio sulla frontiera della dignità umana e su quella della cura della biosfera.

Ci sono secondo lei temi per l’orientamento formativo, per la ricerca e per l’elaborazione dell’Università che si legano alle culture e al profondo sentire della terra cui la nostra Università è legata e alle sue trasformazioni?

Ne vedo almeno quattro.
Anzitutto il tema dell’incontro complesso e delicato tra le culture e le storie di donne e uomini portatori di culture, credenze e appartenenze diverse. Che è tema del riconoscimento e della conoscenza, della traduzione ‘come ospitalità linguistica’, dei diritti e dell’economia equa, dell’azione responsabile delle donne e degli uomini di cultura nella costruzione della pace. Bergamo e Lombardia hanno su questi temi storie, esperienze, grandi figure.
Poi il tema del lavoro come bene da presidiare, promuovere e distribuire, come ‘bene comune’ e condizione di dignità: tema, certo, proprio dell’economia ma, non di meno, del diritto e della filosofia, della psicologia e della pedagogia, delle scienze politiche e sociologiche, di quelle comunicative…
Inoltre il nesso tra le scienze mediche, la biomedicina tecnologica, la farmacologia, le neuroscienze e le dimensioni psicologiche, antropologiche, relazionali della cura. E le dimensioni sociali, ermeneutiche e di senso, bioetiche e simboliche, di pedagogia sociale che si intrecciano alle realtà di una cura che si disegna tra ambito clinico, ricerca, relazioni di prossimità, servizi, relazioni sociali.
Infine il tema del nuovo nesso tra politica, istituzioni, democrazia sociale, iniziative dei soggetti sociali ed economici, delle famiglie e delle persone. Di fronte al modificarsi di bisogni, problemi, attese, ansie, desideri di futuro, angosce e paure delle persone. Che contributo danno le scienze umane e sociali, comunicative e pedagogiche, le scienze economiche e giuridiche all’approfondimento delle realtà, delle dimensioni e dei significati della povertà, del nuovo disagio psichico, delle fatiche relazionali, delle lacerazioni del legame sociale e della fiducia..?
Se la nostra Università su questi quattro temi, e su altri, che sono nelle esperienze e nelle ispirazioni profonde della terra lombarda e bergamasca, qualificasse il suo profilo, si facesse stimolo e ‘riserva’ scientifica e culturale, anche critica, se questo proponesse come indirizzo di futuro e di impegno ai suoi giovani studenti e studentesse, allora potrebbe essere luogo significativo negli anni a venire.

Una Università si valuta dalla qualità della ricerca e della didattica….

Ricerca e didattica trovano in quanto detto punti di intreccio fortissimi. Certamente si può ben dire che la buona didattica ‘produce’ ricercatori di eccellenza: così, però, la didattica è letta come solo funzionale alla ricerca. La didattica deve però formare buoni professionisti, tecnici, dirigenti, amministratori, imprenditori, e cittadini consapevoli e partecipi, ricercatori eticamente avvertiti delle loro scelte e civilmente impegnati. In un esercizio dei saperi e dei poteri umanizzante, teso a dignità e giustizia.
Quella che va sperimentata e proposta è una didattica che è cura della vita della mente, dell’intelligenza, della capacità di visione, della responsabilità e della capacità di relazione e di guida, di interazione tra saperi, tecniche e organizzazioni.
Occorrerà lavorare con attenzione alla qualità della didattica. C’è, certo, la necessità di assumere standard europei, ma ci sono anche sperimentazioni buone e consolidate in diversi Dipartimenti da diffondere e portare a regime. Vi è un problema di tecniche e strumenti ma vi è anche un problema culturale che riguarda i docenti. E che riguarda anche la capacità di raccordarsi con i saperi pratici e d’esperienza presenti nel territorio lombardo.

La relazione tra Università, città, territorio bergamasco si è ampliata e rafforzata notevolmente negli ultimi anni. Le prospettive

La relazione tra Bergamo e la sua Università deve, negli anni a venire, svilupparsi e articolarsi trovando nuove declinazioni. Oltre il riconoscimento tra Istituzioni, Enti e vertici delle rappresentanze. Certo oltre prospettive solo funzionaliste e utilitariste, e di puro scambio. L’Università può e deve esercitare un ruolo ed una responsabilità sociale, culturale complessiva e autonoma, per essere un punto alto di respiro e di orientamento per il territorio, le sue presenze, le sue libertà, le sue energie.
Un nuovo, forte accredito dell’Università nostra nel territorio bergamasco, nel rapporto con le istituzioni, è avvenuto in questi anni del rettorato di Stefano Paleari. Ora serve che l’accredito si sviluppi e si trasformi nella capacità della Università di offrire non solo suoi ‘servizi alti’ in risposta a commesse del territorio, ma anche e soprattutto con una sua presenza alta ed esigente, autonoma e con sguardo ampio sul futuro d’Europa (e del pianeta). Presenza grazie alla quale fare incontrare e confrontare le visioni, le pratiche, le politiche e le culture presenti nei luoghi della ricerca (che non sono solo nelle università), dell’economia, delle istituzioni, delle professioni, dei servizi, dell’impresa del territorio, luoghi a volte ripiegati sul locale, sull’immediato, su tecnicismi e settorialismi, o sulle retoriche della innovazione e razionalizzazione.
Una Università in relazione con l’Europa ed il mondo (altro lascito prezioso di questi ultimi anni di governo dell’Ateneo), ancor più luogo di pensiero libero e critico, di dialogo tra saperi, potrà offrire ricerca e formazione, supervisione e confronto, dibattito e sollecitazione, tali da permettere verifiche, da riorientare pratiche, da far assumere nuovi paradigmi. Un Ateneo luogo aperto, ‘eccedente’, autonomo, libero e sperimentale può aiutare Bergamo a scoprirsi in sue originalità e specificità.

Quale governance per gli anni a venire?

Il governo dell’Università nei prossimi sei anni non potrà che essere a responsabilità diffusa, partecipata e responsabile. Con riflessioni e ripensamento continui, nel confronto e nella costruzione tra molti e diversi. Con spazi di sperimentazione ed autonomia. Dunque, certamente, una gestione non segnata da scambi, negoziazioni, favoritismi e marginalizzazioni. Creatività e chiarezza saranno decisivi anche negli anni a venire.

Le proposte dei Corsi di Laurea, la cosiddetta offerta formativa, le proposte di master e perfezionamenti, regge il confronto con i numerosi Atenei lombardi?

L’offerta formativa andrà qualificata ed arricchita di soluzioni nuove e di ridisegni che permettano di individuare nei Corsi di laurea di Bergamo declinazioni specifiche, di frontiera, originali per i dialoghi tra saperi e attenti a formare professionisti ricercatori riflessivi.
Da anni sottolineiamo la ricchezza delle aree disciplinari presenti in Ateneo, l’ampio spettro dei corsi e dei saperi. Va detto, però, che essi sono ancora per lo più chiusi nei recinti dipartimentali, nei perimetri dei Cdl, nei confini delle aree disciplinari. Così gli stessi Corsi di laurea restano sostanzialmente tradizionali, poco competitivi, a volte, nei confronti con gli altri Atenei lombardi e del nord Italia. Un dialogo, una coprogettazione aperta della offerta formativa, legata con più forza a luoghi di ricerca e confronto multidisciplinare, potrebbe portare a offerte e proposte più ricche ed avanzate. più attente agli sviluppi futuri. Ora i piani sono un po’ rigidi. Forse ci vuole più coraggio e gusto per il lavoro tra diversi anche nei Centri di ricerca.
Serviranno razionalizzazioni e riprogettazioni, delle quali si parla in questi mesi, ma vi è anche la necessità, che diverrà opportunità, di articolare e differenziare l’offerta formativa là dove gli immatricolati presentano grandi numeri. Io sogno sempre un polo per le professioni sociali.

In Università vivono un passaggio molto significativo della loro vita e del loro progetto personale migliaia di giovani. L’Università è attenta alle loro vite, alle loro novità, ai loro itinerari di ricerca?

Ribadire la centralità degli studenti è ricordare che al cuore dell’identità delle Università vi è la relazione tra le generazioni, tra consegne ricevute e capacità di nuovi percorsi, tra cultura, scienza e vita. Gli studenti vanno valorizzati, ascoltati, stimolati e coinvolti. In una didattica ricca, laboratoriale, aperta ai loro contributi e insieme esigente e rigorosa. Dobbiamo perderne di meno nel corso degli studi, essere attenti ai loro percorsi di vita in parte inediti. Il respiro europeo è importante, come le doppie lauree, gli Erasmus… L’orientamento (in entrata, in itinere ed in uscita) è importante e va connesso con le loro storie e scelte di vita. Gli adulti che lavorano in università (e non solo loro) dovrebbero sentirsi chiamati a “pulire il futuro per i giovani”.
Perché l’Università sia esperienza di vita occorre che abbia qualità e senso, attenzione alle biografie personali diverse e discontinue di studentesse e studenti. ed alle storie delle famiglie e dei territori. Serve che anche la città che l’Università ospita sia ambiente sereno e stimolante, accogliente ed in relazione intensa con l’Europa ed il mondo.