Viaggio in Albania: dall’altra parte del mare ho trovato nuovi occhi per guardare il mondo

Quattro storie, quattro viaggi: il dossier di questa settimana offre nuovi occhi per guardare il mondo attraverso racconti intensi, tracce, percorsi speciali. Sono i punti di vista originali e intriganti di quattro giovani in gamba, il bilancio di tempo speso nei Paesi poveri o in insolite mete casalinghe, ma sempre nel segno dell’impegno sociale. Non solo una “vacanza” ma uno stile, possibilmente contagioso.

Passeggiamo in silenzio, io e Lorenz, la strada sterrata è piena di pozzanghere perché la notte ha piovuto e a un certo punto non riusciamo più a proseguire senza rischiare di inzaccherarci i pantaloni o le scarpe. Non parla italiano e di conseguenza nemmeno io, non voglio metterlo nell’imbarazzo di non comprendermi. Sceglie di tornare indietro e fare un’altra strada. Passiamo nel giardino di una casa vicina, alcune galline saltellano via, delle viti ci salutano dall’alto. È dei suo zii da quanto riesco a capire, cerca di spiegarsi a gesti e con qualche parola smozzicata di inglese. Forse prima ci abitavano loro, fa dei gesti con le mani dalla loro casa alla sua, che è anche la casa di Brunilda. Lorenz e Brunilda, che tutti chiamiamo Bruna, sono due fratelli che insieme a me seguono la squadra dei Bakllava (dolce fatto di sfoglia con dentro delle noci) al “camp veror”, il campo estivo di due settimane a Gramsh, un villaggio rurale a nord dell’Albania. Con il progetto “Giovani per il mondo” della Caritas io e altri quattro giovani siamo stati catapultati qui per tre settimane di volontariato, ma soprattutto di crescita personale, alla scoperta di un paese sommerso nelle notizie dei media italiani, per i più misterioso e sconosciuto. Cosa resta dell’Albania dopo un oppressivo e terribile regime comunista di 45 anni (dal ’44 al ’91) e nel mezzo di una massiccia emigrazione nei paesi europei e soprattutto in Italia?

“My home” annuncia Lorenz aprendo il cancello. Supero con delicatezza la soglia di casa, “permesso”, e mi tolgo le scarpe per rispetto, come usano qui. Stasera abbiamo organizzato una cena italo-albanese con gli animatori e don Artur e abbiamo lanciato una sfida di cucina alla Masterchef, da svolgersi al pomeriggio con tanto di fotografie che testimonino la dedizione e l’affiatamento dei gruppetti coinvolti. Valentina e Davide faranno degli gnocchi al pomodoro, Violeta la pizza albanese, ossia con l’uovo nell’impasto, aiutata da Simone e Francesca, io e Bruna lo Shëndetlie, tipico dolce albanese con arachidi e miele. Nell’attesa di Bruna vengo accompagnata nel salotto dove siedono i due nonni, il fratello minore e il cugino Leo, anche lui membro dei Bakllava. Mi offrono una caramella e cerco di fare conversazione con l’aiuto di Leo, che traduce, poi arriva Bruna e mi offre il caffè turco. Mi trovo in una bella casa, a tratti si scorgono dei fiori finti, un po’ kitsch, ma del resto qui è questo lo stile, li usano anche ai matrimoni, molto frequenti d’estate per via dei tanti emigrati all’estero. Sono colpita dai divani in damascato e faccio i miei complimenti. Scopro che la nonna ha 79 anni, è vestita in abiti tradizionali ed ha dei bellissimi occhi azzurri, messi in risalto dalle due ciocche di capelli neri che le escono dal velo all’altezza delle orecchie, come si usa qui. Il nonno, un po’ sordo, ne ha 82 ed entrambi tengono ancora l’orto e raccolgono i frutti della terra, come hanno fatto per tutta la loro vita. Mi viene in mente l’orto di mio papà a casa di mia sorella e ne parlo loro, mentre sorseggio il caffè che Bruna mi ha appena portato. Il fondo mi si impasta in bocca perché non ho aspettato si depositasse: il caffè turco non viene filtrato perciò non si può bere subito! I ragazzi sorridono della mia fretta.
Sono pronta per mettermi all’opera ma la nonna mi blocca: “prima bisogna riposare”. Allora seguo Bruna nella camera da letto con tre semplici lettini e scopro che sul letto accanto alla finestra mi ha preparato una maglietta, dei pantaloncini e delle ciabatte: “così sei più comoda”. Eseguo. Ma quanto dobbiamo riposare? Bruna torna in camera e dice che deve aiutare la nonna, mi offro per aiutarla ma non vuole: “no, tu devi riposare>>. <<Ah, beh, se do fastidio allora riposo”. Mi metto sotto le coperte. Nonostante il caffè dopo un po’ mi addormento per una mezz’ora. Quando mi sveglio, sul terzo letto è sdraiata Bruna, che quando mi scorge saluto e dice: “ancora un po’”. Dopo un’oretta dalle fatidiche parole della nonna siamo al lavoro. Sgusciamo le arachidi insieme alla cugina di Bruna, mentre mi vengono offerti formaggio fritto e anguria, e chiacchieriamo. Do un morso al formaggio e torno a sgusciare e: “Prima mangi e poi lavori”. Come disobbedire alla nonna?
Scopro che sono Salesiani, il cui ispiratore è Don Bosco, proprio il prete dedito ai bambini a cui è dedicato l’oratorio del mio quartiere, Longuelo. Parliamo di tutto e del fatto che qui sono tutti cugini di tutti, ci sono quartieri interi con lo stesso cognome, sono preoccupata per la consanguineità. “Non ci si può sposare tra cugini, è peccato, incesto” dice Bruna. Non riesco a fare a meno di pensare che per me, prima di essere una cosa religiosa è una questione di salute, di scienza. Credo però che i cugini di secondo grado si sposino. Quando finiamo di cucinare mettiamo l’impasto a cuocere in forno, ma Bruna non sa quanto tempo impiegherà. “Dipende dalla corrente elettrica, se è alta o bassa”. Il forno è collegato a un piccolo generatore cinese che regola il voltaggio della corrente, come ogni cosa che funziona con l’elettricità. Le stradine senza il nome delle vie non hanno lampioni. Solo quelle principali li hanno. Gli unici fari nella notte sono la chiesa, illuminata all’esterno, e le stelle, molto più numerose che da noi, un universo di diamanti incastonati nella volta celeste.
Mentre aspettiamo arrivano la mamma Ariana e un’amica, poi il papà di Bruna, Pashuk, “Pasquale”. Bruna prova la pressione all’amica e alla nonna. Ha appena 19 anni ed ha finito il primo anno di infermieristica a Scutari, dove vive insieme a tre coinquiline. In Albania si inizia l’università un anno prima, e ci si mette all’opera subito, dato il bisogno. Si occupa di fare le punture agli anziani e le vaccinazioni ai bambini del villaggio e possiede le chiavi del piccolo centro sanitario/farmacia. Sono ammirata. Mentre mi appunto qualche nuova parola albanese e la nonna cerca di offrirmi anche lo yogurt, Bruna si avvicina incuriosita dalla mia attività e cominciamo a parlare di noi, è già qualche ora che sono stata risucchiata nel cuore dell’Albania e tra poco dovremo tornare dagli amici italiani con il risultato di questo bel pomeriggio. “Devo studiare per l’esame di biologia a settembre ma bisogna pagare l’insegnante per passarlo – mi dice – ma io non la pago”. Le chiedo di spiegarmi meglio: “Sì, ci sono studenti che non sono riusciti a laurearsi per questo, ma io voglio dare tutti gli esami e tornare da lei finché ne avrà abbastanza di me e mi farà passare. Ci sono state varie proteste da parte degli studenti ma non sono valse a niente”. Sono dispiaciuta e le dico che forse si potrebbe fare qualcosa a livello internazionale, magari usando la piattaforma “change.org“, ma bisogna stare attenti all’anonimato. Di colpo mi rendo conto che la corruzione non esiste solo in Italia e che anzi, altrove è forse e purtroppo peggio. Una volta pronto il dolce usciamo di casa, e la nonna mi insegue per regalarmi un pacco di merendine al cioccolato: “Solo per te, da portare in Italia”. Nella mia testa però continuano a frullare mille pensieri.
Mi rendo conto che in Italia ci lamentiamo tanto e siamo i primi a rassegnarci dopo piccoli sconforti, mi rendo conto che ci adattiamo subito a un sistema che ci inserisce tardi nel mondo del lavoro e che ci fa sentire sostituibili e non necessari, ci sottovaluta, mentre chi ha bisogno, neanche tanto dall’altra parte del mondo ma solo al di là dell’Adriatico, si fa in quattro con il poco che ha. Mi rendo conto che Bruna non sa l’inglese perché la sua maestra non lo sapeva, ma che impara presto l’italiano, che Lorenz vuole fare il veterinario perché qui vivono grazie agli animali, anche la loro famiglia ha maialini, vitelli e una mucca per il latte. Mi rendo conto che qui è difficile sentirsi inutili perché qualsiasi competenza tu abbia la puoi sfruttare subito e gli altri ne sono grati e nessuno si sogna di metterti a confronto con il meglio, con chi è meglio e soprattutto con gli altri giovani europei. Ci sei tu, unico, e basti.