Sull’isola dell’Asinara con Libera. Ricordare e raccontare: la lotta alla mafia passa anche da qui

Asinara. Per me era un nome vago: un’isola, un carcere e poco altro. Quando mi sono iscritta con il mio ragazzo al campo di “E!state Liberi” non avevo idea di cosa aspettarmi: certo, conoscevo già i campi di volontariato organizzati da Libera. Associazioni, Nomi e Numeri contro le Mafie, eppure…. Eppure sull’Asinara non ci sono beni confiscati, non c’è niente a parte una natura incontaminata e gli echi di storie passate. E quindi? Ero in tutto e per tutto alla deriva verso un’esperienza che mi attraeva e sì, mi spaventava anche un po’. Sarei stata all’altezza? Sarei stata in grado di mettermi totalmente in gioco?

Il campo di volontariato e formazione sull’isola dell’Asinara – nel nord ovest della Sardegna, che fino al ’98 era interamente adibita a carcere e successivamente è diventata area marina protetta e parco naturale – aveva come titolo “Solitudini, memorie, narrazioni”. E solitudine era la prima parola che veniva in mente, mentre dal traghetto osservavamo l’isola avvicinarsi, distante e silenziosa, incastonata in un blu intenso e punteggiata da caseggiati ed edifici sparsi, chiari, molti fatiscenti. Avevamo un enorme privilegio: a parte pochi altri ospiti dell’unico ostello, sull’isola ci saremmo stati soltanto noi, avvolti in quel silenzio e in quella quiete azzurra. All’Asinara non ci sono resort, supermercati, abitazioni: solo rocce, macchia mediterranea, mare, cielo, qualche sentiero, le vecchie carceri. «Qui sull’Asinara i padroni di casa sono gli asini, i cinghiali, le capre. Noi siamo solo ospiti», ci ha spiegato Ivo, il responsabile del campo. Avremmo alloggiato in una ex foresteria di Cala d’Oliva, una struttura bianca con le finestre spalancate sul minuscolo porticciolo.

La nostra attività di volontari consisteva nel gestire la struttura dell’ex bunker di Cala d’Oliva, dove Libera Sardegna aveva allestito una mostra in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, delle varie attività dell’associazione e di Falcone e Borsellino. Noi avremmo dovuto accogliere i turisti, raccontare di Libera, valorizzare la memoria di quelle persone che hanno pagato con la vita il loro impegno e la loro dedizione, far sì che si potesse andare oltre il «Ma qui è stato rinchiuso Totò Riina?» e costruire una narrazione di rispetto, di speranza e di crescita.

Oltre ai turni al bunker, c’erano i momenti di formazione: con due validi giornalisti, Attilio Bolzoni e Pietro Suber, abbiamo approfondito la vita e l’impegno di alcune figure chiave dell’antimafia: il sindacalista Pio La Torre – ucciso nel 1982 a causa del suo impegno politico e a cui dobbiamo l’esistenza della legge “Rognoni- La Torre” dell’82 con cui è stato introdotto il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso nell’ordinamento italiano -, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Abbiamo letto libri, guardato film e documentari e dibattuto sui temi dell’isolamento, della solitudine e della memoria fino a notte fonda, sotto un cielo pieno di stelle e il rumore del mare come sottofondo. Una frase è tornata più volte e ha fatto da filo conduttore alle nostre riflessioni: «Si ammazza l’uomo di potere quando si crea questa combinazione fatale: è diventato potente, ma lo si può uccidere perché è isolato». Mi sono trovata tantissime volte a pensare al valore della narrazione: narrare per ricordare, narrare per esistere. Narrare, anche, per non lasciare soli quanti si spendono e si impegnano.

Adesso, dopo essere tornata “sulla terraferma”, cerco di riallacciare le impressioni sparse che la stupenda esperienza all’Asinara mi ha lasciato. Mi sono rimasti negli occhi i colori, i silenzi e i profumi di quel meraviglioso brandello di terra: selvatico, incontaminato, di ogni sfumature possibile di blu. Ma anche e soprattutto un luogo carico di storia e di storie: nelle carceri dell’Asinara sono transitati camorristi, boss di Cosa Nostra, brigatisti, ma anche schiere di detenuti comuni che hanno plasmato i ricordi e le narrazioni su questa terra dimenticata; a Cala d’Oliva hanno vissuto le guardie penitenziarie con le loro famiglie, e nell’estate del 1985  anche Giovanni Falcone e Paolo Borsellino hanno trascorso un periodo sull’isola per motivi di sicurezza personale in occasione della scrittura del dispositivo di rinvio a giudizio degli imputati del maxiprocesso contro Cosa Nostra: i due giudici dovettero pagare allo Stato le spese sostenute da loro stessi sull’isola per il loro soggiorno nella foresteria nuova di Cala d’Oliva.

Mi sono rimasti gli sguardi: gli occhi lucidi delle persone che, entrando scettiche a vedere la mostra, ne uscivano con le lacrime agli occhi, ma anche gli sguardi dei miei compagni di viaggio, i ragazzi e le ragazze, gli uomini e le donne con cui ho condiviso questa splendida avventura, la nostra “famiglia” dell’Asinara. Mi sono rimasti il senso di gruppo, il piacere di mettersi in discussione a vicenda, il non dare nulla per scontato, ma anche le risate, i tuffi, le ciabattate lungo i sentieri, il gazebo al bunker che si imbarcava per la pioggia. Mi sono rimaste la straordinaria bellezza dell’Asinara e delle sue spiagge e la voglia di continuare a scoprire sia lei che le storie là racchiuse, forse per sempre mute e taciute dall’oblio.

Mi è rimasta, anche, la voglia di riprendere a narrare, senza stancarmi mai. Dopo tanto tempo ho risentito all’Asinara l’esigenza e l’importanza della narrazione, del lasciare una traccia, del recuperare le battaglie degli altri per poterle portare avanti. E per poter dire, anche io, che “Non li avete uccisi: le loro idee cammineranno sempre sulle nostre gambe”.