Il vangelo del servizio e la favola della rana e del bue

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo (vedi Vangelo di Marco 9, 30-37. Per leggere i testi liturgici di domenica 20 settembre, venticinquesima del Tempo Ordinario, clicca qui)

È passata la crisi della moltiplicazione dei pani. Gesù non sta più con grandi folle, dunque, ma con il piccolo gruppo dei suoi e si dedica alla loro formazione, li istruisce e annuncia loro che “il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà. Il “Figlio dell’uomo” è una figura che si  trova soprattutto nei  testi del profeta Daniele: viene dal cielo ma, insieme, da perfetto rampollo di questa terra, è chiamato a patire e morire. Il Figlio dell’uomo, dice Gesù, deve essere consegnato. Il verbo “consegnare” ha un significato molto forte. In Marco indica sia l’attuarsi del disegno di Dio, sia l’offerta volontaria della propria vita da parte di Gesù. I discepoli non comprendono, come sempre, tutte le volte che Gesù parla della propria morte: faticano, infatti, a capire l’inverosimile dell’abbassamento del Figlio dell’uomo.

“AVEVANO DISCUSSO TRA DI LORO CHI FOSSE IL PIÙ GRANDE”

La distanza fra Gesù e i suoi discepoli viene messa ancora di più in luce da una successiva stranezza.  Mentre Gesù parla della sua morte, i discepoli discutono su chi di loro è il più grande. Gesù intuisce quello strano argomento di discussione, chiede di che cosa stavano discutendo e così fa venire in luce l’enorme distanza fra quello che lui ha appena detto e quello che i discepoli desiderano. Pur di fronte a questa “distanza”, Gesù continua la sua paziente opera di educazione. Entra in casa: quasi sempre l’entrare in casa comporta un insegnamento importante. Non solo, ma si siede: anche questo è l’atteggiamento tipico del maestro. Se uno vuol essere il primo, dice Gesù ai suoi discepoli, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti. Poi, per illustrare la sua parola, compie uno dei gesti profetici nei quali Gesù è un impareggiabile maestro: prende un bambino e lo mette in mezzo al gruppo che, poco prima, si era diviso per una questione di prestigio. Lo abbraccia e dice: Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato. Il bambino, poco considerato, emarginato, per nulla coccolato come invece lo è per noi, era uno dei “poveri” più poveri. Dunque bisogna essere come un bambino e quindi accoglierlo, perché, precisa Gesù, chi accoglie un bambino accoglie lui stesso. Nella mentalità orientale, infatti, accogliere l’inviato è come accogliere colui che lo manda.

COMPETIZIONE E SERVIZIO

Il brano evangelico mette in scena due atteggiamenti contrapposti: quello di Gesù, da una parte, e quello degli Apostoli, all’altra. Potremmo dire che sono messi di fronte la competizione e il servizio. La discussione su chi è più grande considera l’altro il proprio irriducibile punto di riferimento. L’altro è l’avversario da sovrastare e io non faccio più quello che è bene che io faccia, ma da quello che mi viene dettato dall’imitazione dell’altro. Non sono più libero e il mio agire è dettato dall’imitazione dell’altra e, al limite dall’invidia.

LA RANA E IL BUE

Il grande scrittore di favole francese, del ‘600, La Fontaine ha reinterpretato a modo suo la favola famosa della rana e il bue.

Grande non più d’un ovo di gallina
vedendo il Bue bello e grasso e grosso,
una Rana si gonfia a più non posso
per non esser del Bue più piccina.

“Guardami adesso, – esclama in aria tronfia, – son ben grossa?”
“Non basta, o vecchia amica”.
E la Rana si gonfia e gonfia e gonfia
infin che scoppia come una vescica.

Borghesi, ch’è più il fumo che l’arrosto,
signori ambiziosi e senza testa,
o gente a cui ripugna stare a posto,
quante sono le rane come questa!

La rana vive in funzione del bue e degli altri che devono valutare le sue dimensioni. È un essere espropriato della propria libertà.

L’atteggiamento di Gesù è specularmente alternativo: Gesù esorta a imitare lui che non imita, che non fa la guerra ai fratelli ma li serve. Il contrario dell’imitazione – e dell’invidia che ne è la conseguenza diretta – è il servizio.