Una parola forte e fuori moda: eredità

Immagine: il manifesto del festival della filosofia, che ha luogo a Modena, Carpi e Sassuolo

Eredità è una parola pronunciata a bassa voce, quasi con pudore: si vergogna chi la lascia, temendo di suscitare appetiti egoistici e lotte familiari, si vergogna chi la riceve, temendo di essere considerato un parassita che campa sui risparmi dei predecessori. Ma l’eredità come lascito testamentario è solo uno dei modi – nemmeno il più importante, nonostante il materialismo dei tempi – con cui si può intendere l’eredità; di certo non è il senso con cui se ne discuterà in questi giorni nell’annuale edizione del Festival della filosofia di Modena-Carpi-Sassuolo, dedicata appunto al tema dell’ereditare.

IL SENSO DELL’EREDITARE IN TEMPI DI ROTTAMAZIONE

La scelta dei curatori è come al solito coraggiosa, perché cade su un concetto fuori moda: comunque la si voglia intendere, l’eredità sancisce un passaggio di consegne, un legame che si perpetua, una storia che prosegue; nel dizionario dei valori, eredità si trova nella stessa sezione di tradizione e continuità, quando le parole d’ordine dei tempi sono cambiamento e rottamazione. Sul piano politico, ereditare è un verbo privo di senso per quelli – tanti – che pensano che un miglioramento dell’uomo e della società debba immancabilmente passare per una rottura col passato, per un rifiuto di tutto ciò che viene prima e un’entusiastica fiducia in tutto ciò che verrà dopo.

Logica conseguenza di questa convinzione è l’idea diffusa che nessuno debba sentirsi in diritto di tracciare il percorso a chi gli succede. Oggi, non a caso, si è completamente rinunciato a pensare un mondo futuro, se non in negativo: i nuovi dogmi del XXI secolo sono nessuna verità e nessuna certezza, niente limiti ai diritti, nessuna imposizione di princìpi e di doveri, e via di questo passo. Se però qualcuno provasse a passare dalla remissività alla proposta, subito verrebbe tacciato di essere un dogmatico e un anti-democratico.

L’EREDITÀ COME POSSIBILITÀ DI SCELTA

L’eredità, però, non è un’imposizione, ma un’opzione: tu hai la possibilità di disporre come vuoi di un patrimonio – economico, ideale, morale – che sei libero di investire o di rinnegare, di sfruttare o di disperdere. Chi lascia in eredità scommette sul proprio passato e sul futuro di chi lo seguirà. Si può lasciare in eredità un’idea, un progetto, una storia, un nome o un’impresa, ma se rinunci a lasciare qualcosa di te per paura di influenzare l’altro da te finisci per accontentarti di vivere la vita, non di spenderla, che è qualcosa di più.

La vera eredità è anzi il trionfo della libertà, è quella di chi è disposto a sacrificare se stesso pur di affermarla, come hanno fatto tanti, da Gesù fino al più umano Jan Palach. È il modo più alto, più nobile di consegnare qualcosa di tuo: un passo indietro tu, per un passo avanti delle tue idee. Possiamo poi chiederci se ne sia valsa la pena, ma questo è solo un problema di chi resta, non di chi va. Di chi eredita, non di chi lascia una sublime eredità.