Papa Francesco a Cuba e negli Stati Uniti. Valentina Alazraki, vaticanista: “E’ diventato la coscienza del mondo”

«Papa Francesco si è imposto come autorità morale attraverso parole come “ogni parrocchia ospiti una famiglia di profughi” e gesti concreti, vedi Lampedusa la prima periferia del mondo visitata dal Pontefice, e ciò avverrà anche durante il decimo viaggio apostolico che lo condurrà dal 19 al 28 settembre prima a Cuba e poi negli Stati Uniti. Bergoglio è diventato coscienza del mondo. Se oggi c’è una voce che si leva contro le ingiustizie, contro il mercato di esseri umani, sulla devastazione che stiamo facendo del pianeta, è quella del Papa. Non c’è nessun altro leader che lo stia facendo, ciascuno pensa ai propri interessi nazionali, elettorali. Il Papa va oltre e cerca di riscattare valori di umanità, fraternità e di solidarietà. Per questo penso che Bergoglio si stia imponendo non solo come leader religioso ma anche politico e diplomatico. Tutti lo vorrebbero come mediatore, perché il Papa ha una capacità innata, data dalla sua personalità, di costruire ponti e non di innalzare barriere. Semplicemente con la sua forma di essere, con la sua coerenza che è la sua forza e con la sua umanità, il Pontefice va al cuore dell’essenza, va all’uomo anche perché è il primo a dare l’esempio. Dando un approccio umano al problema, Bergoglio tocca le coscienze dei leader del mondo». Valentina Alazraki, messicana, decana dei giornalisti vaticanisti, da quasi quarantun anni corrispondente del Vaticano per Televisa, gruppo radio-televisivo privato messicano, riassume le tappe più importanti e il significato profondo dei nove giorni densi di appuntamenti che attendono oltre oceano Papa Francesco. «Questa è la prima visita in assoluto per Jorge Mario Bergoglio nel Nord America», precisa Alazraki, autrice della prima intervista televisiva di Papa Francesco, “un lungo colloquio”, avvenuto lo scorso marzo in occasione dei due anni di pontificato del Santo Padre. «L’unica cosa che potevo fare, considerato che non sono una teologa come Padre Antonio Spadaro o un direttore di giornale, come Eugenio Scalfari, personaggi che avevano già intervistato Papa Francesco, era far uscire l’umanità del Pontefice. L’ho fatto cercando di creare un clima nel quale il Papa si sentisse assolutamente a suo agio senza rinunciare a fare domande anche scomode. Visto che Papa Francesco è rimasto a dialogare con me ben oltre i 50 minuti previsti, credo di esserci riuscita. È stata una bella chiacchierata dove il Papa ha raccontato sia le grandi riforme che intende fare sia i propri sentimenti» rivela la vaticanista.

Quali saranno le tappe salienti della missione a Cuba e negli USA?
«Sia a Cuba sia negli USA Papa Francesco dovrà affrontare tappe salienti ma per motivi diversi. Cuba come il Brasile, sarà allora l’unico Paese che sarà stato visitato in tre momenti storici diversi da tre Pontefici, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e tra poco Francesco. È impossibile non citare il viaggio di Wojtyla, noi giornalisti che eravamo lì mai avremmo immaginato che un Papa avrebbe toccato la terra cubana. E invece ci fu quel viaggio storico nel quale il Pontefice polacco chiese a Cuba di aprirsi al mondo e al mondo di aprirsi a Cuba. Il Papa girò liberamente per tutta l’isola e condannò l’embargo americano. Il viaggio se pur breve di Benedetto XVI avvenne in un momento nel quale le relazioni tra Vaticano e Cuba erano migliorate. Attualmente i rapporti tra i due Stati sono buoni, soprattutto per il ruolo che Papa Francesco ha avuto nella mediazione diplomatica Cuba – USA. Cuba quindi accoglierà il Papa latino come una delle persone che hanno reso possibile questa nuova fase storica di distensione. Fondamentale anche il viaggio successivo di Francesco negli Stati Uniti, il Papa durante una video conferenza con i fedeli di diverse zone degli USA ha precisato che questo è un viaggio molto importante, perché vuole andare vicino alla gente, stare in mezzo alla gente, pensiamo alla passeggiata di Francesco a Central Park sulla papa mobile o alla Messa all’interno del palazzetto dello sport del Madison Square Garden. Il Pontefice desidera conoscere la cultura e la storia di questo Grande Paese, cultura e storia che sono distanti dal Papa che proviene dal Sudamerica. Innanzitutto ricordiamo che la popolarità di Francesco negli USA è altissima fin dall’inizio del Suo pontificato. Negli Stati Uniti è scattato l’effetto Bergoglio, il simbolo di questo è il murale più grande del mondo, un ritratto del Papa alto 60 metri, sulla fiancata di un grattacielo al 494 della Quinta Strada. Sono certa che qui il Santo Padre avrà un grandissimo successo a livello popolare. È una persona che con la sua umanità e i suoi gesti riesce subito a entrare in sintonia e a catturare le persone partendo dal cuore. Bergoglio si troverà di fronte anche persone che non sono d’accordo con lui, in questi due anni e mezzo di pontificato abbiamo visto reazioni da parte di cattolici conservatori e della ultradestra americana che non vedono di buon occhio alcune Sue prese di posizione. Quindi capiremo durante il viaggio se il Pontefice riuscirà a convincere questi gruppi a Lui avversi. L’aspettativa è altissima, ma c’è anche timore da parte delle forze dell’ordine statunitensi per la sicurezza del Papa».

Il viaggio di Bergoglio a Cuba (19 -22 settembre) assume un forte significato politico proprio ora che si festeggiano ottant’anni di relazioni diplomatiche tra l’isola caraibica e la Santa Sede. È vero che la Chiesa locale, che ha iniziato ad avere visibilità dopo le visite di Giovanni Paolo II nel 1998 e di Benedetto XVI nel 2012, non ha ancora uno status giuridico?
«Sì, manca ancora questo pieno riconoscimento, anche se sono stati fatti dei passi in avanti per quanto riguarda la visibilità, nei giorni scorsi il Cardinale Ortega, Arcivescovo di San Cristóbal de la Habana, è stato intervistato dalla televisione pubblica cubana. Il cammino è ancora lungo, come per esempio poter avere un’emittente cattolica, da sempre aspirazione della Chiesa cubana. Il primo segnale di apertura del regime castrista nei confronti della Chiesa avvenne nel dicembre del 1998 quando a Cuba si poté celebrare per la prima volta il Natale come giorno festivo».

È possibile che l’azione diplomatica del Vaticano verso gli Stati Uniti con la visita del Papa possa dare un contributo determinante al cammino di normalizzazione tra Cuba e USA, ora in fase di disgelo, soprattutto per quanto riguarda la questione dell’embargo?
«Ritengo di sì, sarà un nuovo passo di quel cammino iniziato nel 1996 quando Fidel Castro venne a Roma e fu ricevuto in udienza da Giovanni Paolo II. Non posso dire se il Papa al termine del viaggio apostolico riuscirà a convincere gli Stati Uniti a togliere ufficialmente l’embargo. Il Pontefice lavorerà in quel senso, visto l’ascendenza morale che ha avuto nell’avvicinare Cuba agli USA e viceversa, nonostante sia assolutamente cosciente delle reazioni contrarie sia di cubani dissidenti sia di cittadini americani che non hanno visto di buon occhio questo riavvicinamento».

Il discorso che Bergoglio pronuncerà il 24 settembre a Washington di fronte al Congresso degli Stati Uniti d’America riunito in seduta plenaria (mai prima d’ora un Papa aveva parlato davanti al parlamento statunitense tutto riunito), potrebbe essere considerato come un vero e proprio atto politico, perché il Congresso è spaccato sulla linea del dialogo adottata da Barack Obama con Raul Castro, della quale il Pontefice è stato sempre strenuo sostenitore?
«Per tradizione in Vaticano si dice che i discorsi del Papa non sono politici e che la visita di un Pontefice non è politica ma pastorale. È innegabile che in certi momenti storici i viaggi papali diventano per forza un viaggio politico. Al Congresso Bergoglio partirà da motivazioni pastorali ma ciò che dirà avrà un indubbio impatto politico. Qui il Papa sicuramente toccherà grandi temi scottanti che gli stanno particolarmente a cuore, Cuba, l’immigrazione, la globalizzazione, la tratta delle persone. Temi d’altronde che sono sull’agenda del Congresso statunitense».

Le diverse esperienze e le tante testimonianze protagoniste dell’VIII Incontro Mondiale delle Famiglie (22-27 settembre), che si svolgerà a Philadelphia e al quale interverrà il Santo Padre, potranno rivelarsi utili per il Sinodo ordinario sulla Famiglia che si aprirà in Vaticano il prossimo ottobre?
«Certamente. Il Papa ha già assimilato parte di quello che si era discusso nel Sinodo straordinario sulla Famiglia dell’ottobre 2014, l’abbiamo visto recentemente con la riforma del codice di diritto canonico sulla nullità dei matrimoni da Lui voluta. Quindi il Papa ha recepito quello che ha sentito in aula l’autunno scorso, si auspicava quasi all’unanimità da parte dei vescovi uno snellimento di questi processi per aprire una strada ai divorziati/risposati. È evidente che le testimonianze delle famiglie di tutto il mondo a Philadelphia avranno un peso altrettanto importante. Il Papa è lì per ascoltare, perché non ci sono solo famiglie europee ma anche africane, asiatiche che hanno problematiche diverse dalle nostre. A Philadelphia Bergoglio avrà una rappresentazione di tutto il pianeta con i problemi di tutto il pianeta e sarà molto importante sentire dalla loro viva voce le esperienze delle famiglie. Il Papa ascolta ed elabora. Del resto non tutti i vescovi americani sono dalla parte del Pontefice, perché alcuni vorrebbero da parte del Santo Padre un maggiore sostegno nella linea dura contro le politiche del Presidente USA Obama sull’aborto e sul matrimonio tra omosessuali. Tutti temi presenti a Philadelphia».