A Cuba le “Casas de misiònes”: senza chiese i fedeli pregano e si incontrano nelle case

Come vivono la fede i cattolici cubani se non hanno chiese o locali parrocchiali dove riunirsi per pregare, celebrare e svolgere le varie attività sociali e di catechesi? Semplice: mettendo a disposizione le loro abitazioni, che diventano delle vere e proprie “casas de misiónes”, una strategia pastorale attuata da una decina d’anni nell’isola caraibica. Ad oggi sono circa 2.600 le “case di missione” a Cuba, piccole comunità di credenti che si riuniscono in maggioranza nelle zone rurali o di recente urbanizzazione. Storiche restrizioni hanno impedito per anni la costruzione di nuove chiese e il popolo cubano ha dovuto inventare espedienti creativi per mantenere viva la propria fede. Il processo di apertura in atto e le migliori relazioni tra governo e Chiesa cubana stanno portando novità positive, anche se a passo lento. Da poco, anche grazie alla visita di Papa Francesco, è stata autorizzata la costruzione di tre chiese: una all’Avana intitolata a San Giovanni Paolo II e nelle diocesi di Pinar del Rio e Santiago de Cuba. Papa Francesco, nell’omelia di ieri (21 settembre) a Holguìn, “la città dei parchi” nella zona orientale del Paese, ha elogiato le “casas de misiónes”: “Data la scarsità di chiese e sacerdoti, consentono a molte persone di avere un luogo per la preghiera, l’ascolto della Parola, la catechesi, la vita comunitaria”.
Una ventina di “casas de misiónes” animate dai gesuiti. All’Avana sono pochissime le “casas de misiónes” perché ci sono molte chiese antiche. Una di queste, la più bella e famosa insieme alla cattedrale, è la maestosa Iglesia de Reina retta dai gesuiti. In stile neogotico, con la sua torre alta 50 metri e le sue vetrate dipinte, è punto di riferimento per i cattolici che vivono all’Avana centro. Qui ha sostato domenica pomeriggio il Papa per salutare gli emozionatissimi confratelli, prima di recarsi al centro culturale Varela per parlare ai giovani. I gesuiti animano una ventina di “casas de misiónes” in tutta l’isola. “Nelle zone dove non ci sono chiese è normale che le famiglie mettano a disposizione le case per le celebrazioni e i vari incontri – spiega padre Juan Miguel Arregui, superiore della comunità Iglesia de la Reina -. È un espediente per affrontare le difficoltà: sostituisce le chiese che non ci sono. Dimostra la grande generosità e il calore umano delle famiglie che accolgono”. Non ci sono modalità fisse per gli incontri. C’è chi mette a disposizione la propria casa una volta a settimana, chi ogni quindici giorni. Sono gruppi di venti, trenta o quaranta persone. Dipende da quanto è grande la casa. Spesso ci si ritrova nel patio delle abitazioni, per poter accogliere più gente. Si celebra la Messa, si fa la catechesi con i bambini, si riuniscono i vari gruppi parrocchiali. Il sacerdote va quando può, altrimenti lo sostituiscono i diaconi permanenti, una presenza molto forte a Cuba. I laici animano invece le catechesi. Padre Arregui ha apprezzato molto il riferimento del Papa alle “casas de misiónes”, come pure “l’abbraccio fraterno che ci ha dato quando si è fermato a salutarci”. “Per noi è un incoraggiamento al grande sforzo che fanno i credenti cubani per mantenere viva la fede nonostante la mancanza di risorse economiche e strutturali – dice -. Questo ci rende più forti”. La sua visita, osserva, “faciliterà il processo di normalizzazione dei rapporti tra Chiesa e governo, che procede a piccoli passi. Speriamo di poter lavorare sempre meglio nell’ambito sociale, sanitario ed educativo”.
Le speranze dei giovani cubani. Tra i giovani che hanno ascoltato domenica il Papa c’era anche Annia Martinez, 31 anni. Insegna filosofia politica nel piazzale davanti al centro culturale Felix Varela. “Nelle ‘casas de misiónes’ celebriamo novene, preghiamo il rosario, facciamo la preparazione al Natale o alla Settimana Santa – spiega -. Ci vediamo anche per gli incontri giovanili. A Cuba siamo abituati a stare con quello che c’è”. All’incontro con il Papa c’erano molti giovani non credenti o che seguono il culto afro-cubano della santeria. L’evento era stato infatti pubblicizzato in tutte le università. Papa Francesco aveva chiesto che la zona fosse eccezionalmente coperta dalla banda larga per permettere ai giovani di comunicare via telefonino tramite i social. “All’inizio c’era un po’ di confusione – racconta Annia -. Ma quando Papa Francesco ha messo da parte il discorso ufficiale ed ha iniziato a parlare a braccio è sceso un grande silenzio, erano tutti molto attenti. Sono rimasti colpiti e hanno riconosciuto la verità delle sue parole”. Sono stati messaggi forti di speranza. I giovani cubani hanno la grande opportunità dell’accesso gratuito e di qualità all’istruzione ma soffrono la mancanza di un rapporto normale con il resto del mondo, la difficoltà di viaggiare (i costi per ottenere un visto, tranne in Russia e in Ecuador, sono molto alti), la disparità enorme tra i bassi salari e l’alto costo della vita. “Il futuro per noi non cambierà in due giorni – commenta -. Ci vorrà tempo per vedere dei cambiamenti reali. Le parole del Papa ci aiuteranno molto”.